Page 79 - Mediterraneo e dintorni - nr 13
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È molto più di una biografia il testo “C’era una volta Andreotti”, Solferino edizioni,
               di Massimo Franco, inviato e notista del Corriere della Sera. Come si evince dal
               sottotitolo, si tratta del ritratto di un uomo, di un’epoca e di un Paese. Scriveva la
               scrittrice indiana Arundhati Roy nel suo romanzo “Il dio delle piccole cose” che
               «ci sono cose che si possono dimenticare e cose che non si possono dimenticare»;
               l’opera di quest’autore, una volta letta, entra a far parte del patrimonio umano
               e di conoscenza di chi vi si accosta ed è certamente indimenticabile. Forse per-
               ché rappresenta uno spaccato di storia individuale e collettiva che ha segnato per
               sempre il corso degli eventi in Italia e non solo o forse perché la penna incisiva e
               puntuale di Franco ha saputo delineare i contorni, ripercorrere i fatti, indagare gli
               stati d’animo ad essi sottesi, in maniera così autentica e pregevole da consegnare
               ai lettori un capolavoro che si colloca nel panorama della scrittura oscillando tra la
               narrazione e la poesia. C’è la poesia insita in ogni vita, c’è l’ansia del divenire, c’è il
               raggiungimento dei traguardi, c’è il dramma della parabola umana discendente,
               il declino, il dolore, la morte. Ma soprattutto c’è un uomo Giulio Andreotti, a cento
               anni dalla sua nascita avvenuta il 14 gennaio del 1919, che viene presentato in tutta
               la sua complessità quasi per farlo guardare a occhio nudo senza gli infingimenti
               delle lenti offuscate del tempo che cancella malamente le tracce di ciò che è stato.



                                          “Ho imparato”, di Enrico Letta «non è (solo) un libro… È piuttosto un progetto
                                          collettivo» scrive del suo testo edito dal Mulino lo stesso autore, già Presidente del
                                          Consiglio dei Ministri nel biennio 2013-2014, ministro e parlamentare. Un’opera in
                                          cui Letta vuol lanciare le sue proposte perché l’Italia cambi direzione. Una scrittura
                                          tutta protesa a illustrare il cambiamento e gli atteggiamenti possibili di fronte ad
                                          esso con una scelta preferenziale, esemplificata nelle righe della quarta pagina di
                                          copertina “Quando soffia impetuoso il vento del cambiamento c’è chi alza muri e
                                          chi, guardando avanti, costruisce mulini a vento”. Cambiare si può e si deve, al pari
                                          di come si deve reagire adeguatamente al cambiamento, soprattutto perché ai gio-
                                          vani si deve “restituire il futuro”. Un libro per definizione è rivolto al vasto pubbli-
                                          co dei lettori ma se si potesse entrare nella mente dell’autore si avrebbe la certezza
                                          che il suo “Ho imparato” è indirizzato principalmente ai giovani, come si evince
                                          peraltro dal sottotitolo “In viaggio con i giovani sognando un’Italia mondiale”.
                                          Tante le cose che Letta scrive di aver imparato; una fra tutte rappresenta il messag-
                                          gio chiave del volume:  “Imparare è soprattutto capire che la bellezza della vita è
                                          guardarla con gli occhi degli altri, oltreché coi propri”. Parafrasando lo scrittore se
                                          “il ruolo della politica è proprio quello di trovare e raggiungere il delicato equili-
                                          brio tra competenza e rappresentanza”, forse il ruolo di un buon libro è quello di
                                          trovare l’equilibrio tra toccare le corde dell’anima e illuminare la mente dei lettori.



               Nel suo saggio “I sette peccati capitali dell’economia italiana”, edito Feltrinelli,
               Carlo Cottarelli, economista ed editorialista italiano, individua ed esamina sin-
               golarmente i fattori che danneggiano l’economia italiana. Si passa dall’evasione
               fiscale – che in Italia è più alta di quella degli altri Paesi – alla corruzione, criticabile
               da un punto vista etico anche se non avesse conseguenze economiche che di fatto
               ha, all’eccesso di burocrazia in cui l’autore sottolinea efficacemente che «se è vero
               che i burocrati generano le regole, è anche vero che le regole generano i burocrati»,
               alla lentezza della giustizia con gli innumerevoli procedimenti pendenti e una giu-
               stizia civile lenta. Ma ancora c’è il non trascurabile crollo demografico, effetto del
               calo delle nascite e della riduzione del tasso di fertilità e con il problema dell’invec-
               chiamento della popolazione, e il divario tra Nord e Sud profondissimo e secolare.
               E da ultima la difficoltà del Paese di convivere con l’euro. Un’analisi puntuale e
               approfondita che traccia le interrelazioni tra i suddetti “peccati”, cosa che può es-
               sere vista anche come un vantaggio perché risolvere un problema può permettere
               di risolvere anche gli altri. Il testo di Cottarelli fornisce dati utili, approfondimenti
               importanti per cercare una soluzione alla mancata crescita dell’economia italiana.
               «Ma il primo passo per risolvere i problemi è quello di rendersi conto di quanto sia-
               no gravi e di quanto possano nuocere – scrive l’autore, aggiungendo inoltre di non
               essersi occupato delle virtù della nostra economia – …virtù che pure sono tante».




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