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STORIA/HISTORY




                Quando il valore italico volò per tutte le Corti d’Europa
                5 febbraio 1503, la Disfida di Barletta




                Un discendente diretto di uno dei 13 cavalieri ci offre un affascinante resoconto del celebre avvenimento


                   di Saverio Montebianco Abenavoli




                        a Disfida di Barletta, una   deboli e degli oppressi, erano or-  copernicana  dell’introduzione
                        delle ultime e splendide   mai costretti a cedere il passo al   delle armi da fuoco che stermi-
                        prove della Cavalleria    cambiamento dei tempi, caratte-  navano i combattenti  senza di-
                Lormai morente, fu repu-          rizzati dall’incalzare di interessi   stinzione di valore e di grado, di
                tata e celebrata come un gran-    più reali e pressanti. I continui e   buoni e cattivi, fecero poi il resto.
                de avvenimento nazionale e a      repentini mutamenti di fronte e   L’avvenimento  del  combatti-
                tutt’oggi degno di notevole am-   di pensiero, la notevole cupidigia   mento  della  Disfida  di  Barlet-
                mirazione. Gli ideali e lo spirito   senza onore e rancore, che ormai   ta, che ebbe luogo il 13 febbraio
                del mito cavalleresco  del  miles   infiltravano  come  un  cancro  la   1503, va inquadrato nel periodo
                Christi, protettore della fede, dei   società, nonché la rivoluzione   storico che riguardò la guerra tra
                                                                                   francesi e spagnoli per il posses-
                                                                                   so del territorio napoletano. Ora,
                                                                                   mentre i francesi assediavano
                                                                                   Barletta, quartier generale dell’e-
                                                                                   sercito spagnolo comandato dal
                                                                                   celebre condottiero Consalvo de
                                                                                   Cordoba, avvenne che un cava-
                                                                                   liere francese, tale Charles de la
                                                                                   Motte, insultasse alcuni cavalieri
                                                                                   italiani che militavano agli ordini
                                                                                   dei condottieri Prospero e Fabri-
                                                                                   zio Colonna, i quali erano al ser-
                                                                                   vizio della Spagna. De la Motte,
                                                                                   durante un banchetto, mentre
                                                                                   riconobbe l’uguale valore degli
                                                                                   spagnoli rispetto a quello dei
                                                                                   francesi, con baldanza e superbia
                                                                                   espresse un giudizio molto offen-
                                                                                   sivo sugli italiani, definendoli “di
                                                                                   poca fede”, appellandoli “vili,
                                                                                   paurosi e inetti” e “sempre vinti
                                                                                   e soverchiati dai francesi”. Per ri-
                                                                                   battere a queste offese i cavalieri
                                                                                   italiani proposero così una sfida
                 “Il primo scontro delle lance”, opera di Tommaso Minardi custodita presso la Pinacoteca   di tredici dei loro campioni con-
                Comunale di Faenza cui è pervenuta nel 1916 grazie al lascito di Ernesto Ovidi, e facente parte
                di un ciclo di 16 pezzi dedicato alla Disfida di Barletta. L’opera ritrae, al centro, lo scontro fra   tro tredici dei francesi. Accettata
                i cavalieri; intorno, a cerchio, numerosi astanti, donne, uomini, cavalieri, che osservano. Nel   la sfida, con le regole e le consue-
                fondo, è raffigurata la città di Barletta, arroccata fra le colline. Secondo Ovidi (1868), Minardi   tudini cavalleresche dell’epoca,
                si era ispirato al racconto di un anonimo “testimonio di veduta del combattimento di Barletta
                -13 febbraio 1503 - il cui libro venne pubblicato in Napoli per Lazzaro Scoriggio nel 1663”. Il De   essa ebbe luogo alle ore 17 del 13
                Sanctis (1900) riteneva, invece, che la fonte fosse la “Disfida di Barletta” di Massimo D’Azeglio,   febbraio dell’anno 1503 e si svol-
                pubblicata solo nel 1833, cioè dopo l’unico disegno datato di Minardi, del 1831. Indubbiamente   se nel campo neutrale tra Andria
                il vicino ricordo dei moti del 1821 e del 1831 e il clima diffuso di patriottismo avevano spinto il
                Minardi a ritrarre questo soggetto, analogamente alle motivazioni tramandate da D’Azeglio nella   e Corato “ dove il Bayardo ave-
                sua biografia. Ovidi scriveva a proposito del ciclo di Minardi: “Nel complesso di Barletta è   va combattuto il duello e ucciso
                l’Italia, essa stessa che riprende per un momento, in mezzo alla notte che l’avvolge, la   Soto Major”. Il campo si trovava
                coscienza del suo essere nazionale; e in quei tredici cavalieri delle diverse parti d’Italia,
                fra i quali tre di Roma, è il presagio di un fatto che doveva compiersi tre secoli e mezzo   nella  zona  neutra  del  Sant’Elia
                dopo, ed al quale noi fortunatissimi assistiamo”.  Minardi impiegò molti anni a terminare la   appartenente alla Repubblica di
                serie. Fonte:http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/pater/loadcard.do?id_card=55126  Venezia. I tredici cavalieri furo-


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