Galileo Galilei

di Egidio Chiarella

 

Galileo Galilei

“La matematica è l’alfabeto nel quale Dio ha scritto l’universo”

 

“… Giosuè pregò il Signore e gridò alla presenza di tutti gli Israeliti: Sole, fermati su Gabaon!”(Gios.10,12). Scrive in proposito il teologo Mons. Costantino Di Bruno, riferendosi al braccio di ferro tra Galileo Galilei e la Chiesa del XVII secolo: «Quando Giosuè fermò il sole, fermò il sole perché a quei tempi si credeva che fosse il sole a sorgere e a tramontare. Ma non è sul sole che è rivolta l’attenzione: ma sull’intervento del Signore che dona a Giosuè tutto il tempo dovuto per piegare il nemico». Lo scienziato pisano viene condannato dall’Inquisizione nel 1633 all’abiura e all’esilio ad Alatri, nel Frusinate. Resta famosa alla fine della condanna la sua frase riferita al pianeta terra “E pur si muove!”. La vita di Galileo fu intensa ad iniziare dal 1580 che lo vide studente di medicina all’Università della sua città, Pisa, dove nacque nel 1564. Nel 1583 si specializza in matematica e con il suo insegnante Ostilio Ricci guarda a questa disciplina non più come una scienza astratta, ma come un campo utile ad incidere sulla quotidianità dell’uomo. Rimane a Pisa fino al 1585. Qui coltiva anche la fisica e dà vita alla sua prima scoperta: l’isocronismo delle oscillazioni del pendolo. Un principio che stabilisce come il tempo di oscillazione di pendoli della stessa lunghezza è costante qualsiasi sia l’ampiezza dell’oscillazione. Dopo un periodo di lezioni svolte all’università pisana viene chiamato a Padova ad insegnare fino al 1610. Diciotto anni che lo stesso Galileo definisce “i migliori di tutta la sua età”. Nel 1593 inventa la macchina per portare l’acqua ai piani alti. È tra il 1604 e il 1609 che s’impegna per poter costruire e perfezionare il cannocchiale, inventato in Olanda, necessario ad osservare per la prima volta da nuove distanze il fascinoso mondo delle stelle.

Galileo resta un simbolo perpetuo nella difesa del binomio scienza-fede. È lui che cerca in tutti i modi di dimostrare, proprio davanti ai giudici del tribunale che lo ha punito, come le due cose non siano avverse ma che possono convivere assieme. Scrive il teologo Di Bruno nel libro su Galilei di don Francesco Cristofaro, Assolto in cassazione:  «Vi è conflitto tra Rivelazione e Scienza? Mai dovrà esserci. La scienza dice la verità delle molecole delle cose. La Rivelazione insegna la verità dell’uomo nelle sue molteplici relazioni». Per quanto riguarda il conflitto tra Galileo e l’Inquisizione, il teologo Di Bruno vede l’errore di base nel pensare che la Scrittura volesse rivelare un evento astronomico e non invece «quanto potente sia la preghiera del giusto che invoca il Signore». Nell’anno fiorente 1610 Galileo scoprì che la luna presentava irregolarità sulla sua superficie; che la via Lattea si mostrava come un insieme di stelle lontane che espandevano l’universo nei suoi confini; che Giove avesse quattro satelliti maggiori; che il sole fosse occupato da macchie in movimento. Queste sue nuove scoperte vennero pubblicate nel 1611 nel Sidereus Nuncius. Un lavoro che gli procurò a Firenze un posto di insegnante, grazie all’ammirazione del granduca di Toscana, Cosimo II dei Medici. È sempre nel 1611 che la Chiesa comincia ad osservarlo e a monitorare le sue opere. Risultato? Il frate Tommaso Caccini lancia contro gli scienziati moderni, ma soprattutto contro Galilei, l’accusa di contraddire le Sacre Scritture. Infatti lo studioso aderisce alle idee di Keplero per il quale la terra compiva su sé stessa un moto di rotazione. Più dirompente la sua adesione alla teoria eliocentrica dell’astronomo Niccolò Copernico (1543), per il quale, non la terra ma il sole si trova al centro del sistema con i pianeti che gli girano attorno con un moto di rivoluzione. Galileo consegna al mondo, rimanendo nella sua fede cattolica, il metodo scientifico-sperimentale per studiare e conoscere nel profondo la realtà naturale. Lo scienziato muore nel 1642 sotto il peso di una dura sentenza dell’Inquisizione. Solo nel 1992 “dal cielo” Galileo potrà “ricorrere in cassazione”. Giovanni Paolo II dinnanzi ad una sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze riconosce gli errori della Chiesa commessi sulle opere di Galileo e sul suo libero pensiero. Scrive ancora il teologo: «La vera fede mai contraddirà la vera scienza e la vera scienza mai contraddirà la vera fede, perché l’Autore sia della fede che della scienza è uno, uno solo. Il Creatore della fede e della scienza”. Galileo lo aveva capito ma non il mondo intorno, compreso quello clericale.

 

 

     

 

 

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