*di Paola Vignati*
Yangon è una città vitale, i marciapiedi sono pieni di persone, ma anche di bancarelle e mercati improvvisati, la strada è la naturale estensione della casa e delle botteghe, come spesso accade nel sud est asiatico. La città nasce nel Settecento attorno alla pagoda di Shwedagon, con il nome di Yangon. Gli inglesi, durante il domino coloniale, la ribattezzarono Rangoon. Nel 1989 la giunta militare, che governava il Myanmar, la trasforma nuovamente in Yangon. Nel 1995 la stessa giunta sposta la capitale del paese a Nam Pyi Taw, una città fantasma, una cattedrale del deserto, nella Birmania centrale.
Anche se non è più capitale, Yangon resta la prima città, per importanza e popolazione della Birmania, una città ammaliante: decadenti edifici coloniali, segnati dal tempo e dai monsoni, mercati di quartiere, il traffico veicolare incessante, la vita che scorre senza sosta. Almeno fino al colpo di stato, dello scorso febbraio quando gli esponenti del Lega Nazionale per la Democrazia, il partito che governava il paese, sono stati tutti arrestati in primis la leader Aung San Suu Kyi. Sul Myanmar è nuovamente calato il pesante fardello della dittatura militare, ma a differenza del passato, le notizie di quanto sta avvenendo si diffondono grazie ai social media, nel silenzio della comunità internazionale.
Pansodan Street e bancarelle di libri usati di Yangon
Pansodan Street è una via animata che attraversa tutto il centro di Yangon conosciuta il nomignolo lan-bay tekkatho, “università di strada”. La via ospita moltissime librerie fornite, inoltre sui marciapiedi banchi di libri usati e riviste. Si può trovare di tutto: romanzi birmani, manuali scientifici, polverosi classici inglesi, vecchi dizionari geografici traduzioni di narrativa e saggistica da tutto il mondo.
Per un amante dei libri, passeggiare in Pansodan Street è un’ esperienza sublime. In questa via durante la dittatura, si potevano trovare libri vietati come 1984 di George Orwell e gli scritti di Aung San Suu Kyi. Libertà e desiderio di conoscenza possono essere seppelliti sotto un terribile giogo, ma nell’uomo non muoiono mai.
Yangon Circle Line
La Yangon Circle Line è un tragitto ferroviario che collega ad anello Yangon, oggi non è più possibile fare l’intero percorso, perché sono in corso lavori di ammodernamento sulla linea. Vale comunque la pena scegliere uno dei due tratti disponibili. La linea, così pure come la stazione principale sono state costruite dagli inglesi durante il periodo coloniale e non hanno perso quella caratteristica. La Yangon Central Railway Station riporta ad un’epoca che non esiste più, ha il fascino della decadenza, dei luoghi così vissuti da essere diventati un tutt’uno con la città. I treni sono obsoleti, senza aria condizionata, viaggiano lentamente, al di fuori si delinea un paesaggio semplice e povero. I birmani osservano con curiosità, i pochi occidentali che intraprendono questo viaggio. Su vagoni un’umanità variegata: chi con il treno vive, vendendo merci a bordo (ciambelle, uova, fiori, occhiali da vista) chi, invece raggiungere il proprio posto di lavoro. Come sempre l’ospitalità tipica dei birmani si fa sentire e non mancano consigli, sul percorso da seguire, su quale sia la stazione migliore in cui sostare. I tempi del percorso si dilatano, si recupera il senso di un movimento più lento, dove la velocità non è più né il fine né il mezzo.
La Thanakha
Sul treno si incontrano donne e bambini con il viso truccato con una polvere di colore chiaro. La thanakha: una pasta ottenuta macinando la corteccia dell’omonimo albero, che protegge la pelle dai raggi solari e si ritiene abbia proprietà medicinali. Essendo di colore giallastro quando viene spalmata sul volto ha l’aspetto di una maschera di fango; malgrado ciò rimane il prodotto di bellezza più importante delle donne birmane. Nemmeno l’arrivo dei cosmetici moderni ne ha diminuito la popolarità.
Case da tè di Yangon
Il tè è parte integrante della vita culturale birmana le case da tè sono attività all’aperto di poche pretese: bassi tavoli di legno e sgabelli disposti sui marciapiedi, tende ed ombrelloni per ripararsi dal sole. Luoghi pieni di vita per tutto il giorno: dalla colazione alla cena. Il tè nero birmano è forte, concentrato e va diluito con acqua. Si gusta lentamente assaporandone l’aroma intenso.
La casa di Aung San Suu Kyi
Aung San Suu Kyi in Birmania è venerata. Rappresenta la speranza e la lotta per la democrazia non solo negli anni terribili della giunta militare, ma ancora oggi dopo il recente colpo di stato del scorso febbraio. Aung San Suu Kyi, o come è chiamata in Birmania the Lady, prima del suo ultimo arresto, viveva a Yangon. La grande casa coloniale situata in University Avenue, sulle sponde del lago Inya, non è accessibile, tanto meno aperta alle visite. La sola cosa che si può vedere è il pesante cancello che impedisce la vista dell’interno. L’intero perimetro è circondato da alte mura con filo spinato e all’ingresso una torretta, presidiata da militari. In questo luogo la Lady ha scontato la sua pena detentiva durata circa quindici anni. La casa è stata un carcere, durante la dittatura. Qui si è consumato un pezzo importante di storia birmana.
Drug Elimination Museum
Il museo dell’eliminazione della droga di Yangon è stato edificato per volere della giunta militare, per dimostrare la forte volontà di sradicare la droga dal paese. L’edificio che, dall’esterno appare imponente, all’interno mostra invece, la sua decadenza: il tetto, in molti punti malandato, offre riparo a colonie di piccioni che abitano la struttura e volano liberi. Moltissimo personale statale gira per lo stabile. Qui si vedono pochi turisti.
Ho scelto di visitare il Drug Elimination Museum perché mi piacciono le contraddizioni. Le immagini, rappresentate con grandi pannelli dipinti, ma anche con mostruosi ed inquietanti manichini, con i corpi ridotti a scheletri mostrano quanto la droga faccia male, come, ogni giorno, distrugga la vita delle persone. Ma per fortuna la giunta militare lotta alacremente contro di essa. Distrugge piantagioni di oppio nel Triangolo d’Oro, la zona di confine tra Myanmar, Thailandia e Laos, nota per la coltivazione del papavero da oppio. Si passa poi dall’orrore alla riabilitazione: i tossicodipendenti comprendono il loro errore e nel giro di poche immagini abbandonano le siringhe per dedicarsi ai merletti, alle sculture con noci di cocco, come strumento di riabilitazione. I pannelli istruttivi raccontano che l’oppio non ha origine in Myanmar: “Fu introdotto dagli stranieri, così come l’eroina inventata dagli inglesi” Il Myanmar, invece, distrugge le droghe, e ne vieta l’uso con pene severissime. Una propaganda surreale degna dei peggiori regimi visto che la coltivazione dell’oppio è stata una delle principali fonti di reddito della giunta militare, in quel periodo il Myanmar era il secondo produttore di oppio al mondo.
Dalah
Dalah un sobborgo di Yangon, si raggiunge con una breve traversata in traghetto, in attesa che il ponte di collegamento venga ultimato. In pochi minuti di navigazione si passa dalla frenetica Yangon ad uno spaccato di vita rurale in Myanmar. Dalah è calma e placida. Qui la vita scorre lenta e semplice. Un mercato quotidiano, la vendita del riso, piccole botteghe artigiane tra cui l’impresa sociale ChuChu con finalità etiche, come la realizzazione di prodotti attraverso la plastica riciclata. Lo smaltimento nella plastica nel sud est asiatico è un problema enorme: prima di tutto manca un’educazione ecologica degli abitanti al corretto smaltimento: così la plastica viene spesso bruciata o peggio ancora gettata nei corsi d’acqua.bInoltre va aggiunto che il ricco occidente non riesce a smaltire tutta la plastica che consuma e la invia, su enormi navi portacontaneir, a paesi in via di sviluppo che tentano di eliminarla con risultati deleteri. Infine Non mancano le pagode, come la Shwe Sayan Paya e Bang Daw Gyoke, la pagoda costruita sull’acqua, per raggiungerla si percorre, a piedi, un lungo ponte. Più conosciuta come il nome di tempio del serpente: al suo interno circa una trentina di tranquilli pitoni soggiornano su un albero.