*di Paolo Di Giannantonio*
Ma avete presente quant’è bella la lince? Un animale elegante ma schivo, un predatore determinatissimo ma anche delicatissimo; una specie che sembrava scomparsa dalle nostre foreste e che di tanto in tanto si fa rivedere. Un ridotto numero di esemplari, concentrati sulle Alpi, dalle parti del Parco del Tarvisio ed oltre, ma soprattutto sulle Alpi Dinariche. Spiegano gli esperti che le linci europee hanno bisogno, per vivere e per cacciare, di grandi estensioni, di foreste più che di boschi. Al contrario dei lupi e dei cinghiali non si adattano facilmente ai cambiamenti imposti dall’uomo.
Quelle nostrane sono, in realtà, “transnazionali”: hanno doppio passaporto: comunitario (Italia, Francia, Germania, Croazia e Slovenia) ed elvetico. Ci si accorge di loro grazie alle tracce ma soprattutto grazie alle fototrappole che danno un aiuto prezioso alla osservazione di quanto sta avvenendo nei nostri boschi. Ma le certezze sono poche e gli avvistamenti sconfinano, qualche volta, nella leggenda. Se n’è parlato di uno min particolare, alla fine dello scorso anno in provincia di Arezzo, ma non ci sono prove. E restano solo “voci”, quelle che segnalano presunte presenze anche sui monti abruzzesi. Qualcuno potrebbe averle confuse con i gatti selvatici, che però non hanno le orecchie a punta e che sono, comunque, molto più piccoli: una lince euroasiatica pesa anche 25 – 30 chili ed è grande come un lupo. Da rodata predatrice qual è può abbattere, pensate, anche un cervo.
Di certo c’è la serietà del progetto “Life Lynx” che si ripromette di salvare questi animali dall’ estinzione, rafforzando la popolazione dinarica e alpina incrociandola con linci provenienti dai Carpazi. A “Life Lynx” dobbiamo – oltretutto – le straordinarie fotografie che corredano questa nostra storia.
Abbiamo cominciato dagli animali più rari e difficili da vedere per parlare, in realtà, di una rivoluzione quasi silenziosa che sta avvenendo in Italia e, più in generale, nel continente europeo. E a questo punto è d’obbligo citare il noto aforisma attribuito al filosofo cinese Lao Tzu ( VI secolo a. C.): “Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. Già perché le foreste italiane (ma anche europee) stanno producendo un gran rumore, anche se silenzioso. E l’ossimoro è d’obbligo per raccontare di un fenomeno di enorme portata: i boschi italiani negli ultimi dieci anni sono aumentati di 587 mila ettari, arrivando a coprire circa il 37 per cento dell’intero territorio nazionale. E quindi respiriamo meglio perché quegli alberi catturano ben 290 milioni di tonnellate di Co2 in più: lo dice l’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio dei Carabinieri Forestali.
Ci sono più boschi perché gli uomini lasciano i campi, abbandonano i paesi, soprattutto in collina ed in montagna, e di conseguenza lasciano le colture tradizionali, incalzate dalle produzioni estensive e dalle massicce importazioni dall’estero. I campi diventano dunque macchie e le macchie, col tempo, boschi. La natura, come la geopolitica, non ammette vuoti e di quegli spazi tornano ad impossessarsi gli animali selvatici. Lupi, orsi, volpi, cervi, camosci, stambecchi, cinghiali e tante altre specie, con qualche sorpresa. E’ un fenomeno mondiale confermato da un dato: dal 2007, nel pianeta, la popolazione di città ha superato numericamente quella di paesi campagne.
Ma per restare al nostro Paese, dove una rinnovata coscienza naturalista e animalista va sempre più prendendo piede, va sottolineato un notevole aumento di animali selvatici, alcuni dei quali sono sempre più frequentemente segnalati gli nei pressi di centri abitati. E, esclusi i cinghiali, il cui aumento di numero è ormai fuori controllo (al punto che sono diventate presenze urbane fisse soprattutto a Roma), ogni volta la cosa suscita ammirazione, emozione e qualche volta preoccupazione. Ad Arvier, in Valle d’Aosta, alcuni esemplari passeggiano ormai per le strade del paese, con un qualche allarme per i bambini. Gli esperti dicono che si tratta di sei sette branchi, con una ottantina di esemplari in tutto.
Negli anni 70 in Italia ne erano rimasti davvero pochi esemplari, concentrati nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Grazie al\la legge che li ha resi specie protetta e grazie al notevole aumento delle prede nei boschi e sulle montagne, i lupi si sono ripresi tutti gli Appennini, a partire dalla Sila, per salire su, sin sulle Alpi e persino in riva al mare, come è accaduto in Emilia Romagna. In tutta Italia sono tra i 2000 ed i 2500.
Pietro Santucci, guida del Parco Nazionale d’Abruzzo, i lupi li incontra, li filma, li fotografa e li racconta. Alcuni episodi sono davvero emozionanti. Come quello di qualche anno fa, quando assistette all’inseguimento di un cerbiatto da parte di un lupo. A difendere il piccolo intervenne la madre che ingaggiò una furibonda lotta con predatore. E Pietro fu quasi travolto dai tre animali in corsa, mentre li riprendeva. Si possono vedere queste immagini e molte altre sulla sua pagina Facebook: incontri ravvicinati con cervi, daini, caprioli, volpi, acquile e tanti altri. Insomma: l’oro del Parco Nazionale d’Abruzzo.
Molto coinvolgenti, poi, sono le storie dei volontari del “Centro Recupero Fauna Esotica e Selvatica Monte Adone”, in Emilia. I peggiori nemici dei lupi – tengono a precisare – sono le trappole, i veleni e anche le schioppettate dei bracconieri. Negli anni, ormai, ne hanno salvati, più di 70. Colpito da una fucilata il lupo Navarre fu salvato in extremis da un veterinario che lo sottopose a massaggio cardiaco, e da Elisa Berti, responsabile del Centro di Monte Adone, che gli praticò la respirazione bocca a bocca. Anche in questo caso un obiettivo ha permesso di fissare la storia e queste immagini, dice Elisa Berti, hanno contribuito a far conoscere il “Progetto Lupo” e a migliorare sensibilmente l’immagine di questo animale. Oggi possiamo però dire che per il lupo c’è molta più simpatia anche se con gli allevatori ed i pastori non ci sarà mai amicizia.
Grave errore – dicono gli esperti – è cercare di avvicinare gli animali, di fornire loro cibo, di assimilarli ai cani da compagnia. Lasciamo fare la natura e assistiamo da spettatori, attenti ma distanti, alle sue straordinarie trame. Come quell’incontro, filmato di recente, tra un lupo ed un orso, nei boschi del Trentino. A poca distanza si sono incrociati e, con prudenza studiati, prima di riprendere ciascuno la propria strada. Tutto perfettamente ripreso dalla fotocamera di Massimo Vettorazzi, un appassionato “faunista”, amante della natura e dell’ambiente.
Ecco: le foto trappola sono uno strumento formidabile per studiare e conoscere gli abitanti di campi, boschi e foreste. E proprio grazie a questi mezzi che si è potuto seguire e raccontare l’arrivo prima in Friuli ed ora giù per gli Appennini, degli splendidi sciacalli dorati. L’avvistamento più a sud è stato nella provincia di Latina. Originari dei Balcani, sono più grandi delle volpi e più piccoli dei lupi. Per ora sono circa 200. Predatori , cacciano piccoli animali ma la loro vera e propria vocazione è quella di “spazzini del bosco”, spiega Luca Lapini, lo zoologo di Udine che da anni li studia e li segue. Si nutrono soprattutto di resti e carcasse . Grazie agli obiettivi che il giovane naturalista Stefano Pecorella ha posizionato tra gli alberi, nei greti dei fiumi e nei campi, si è visto come gli sciacalli vivano in nuclei familiari formati da padre, madre e due o tre cuccioli.
Ma non sono tutte positive le notizie che riguardano i boschi. Ci sono specie aliene, cioè importate da altri ecosistemi, che con il loro arrivo rompono gli equilibri precedenti, fanno danni e preoccupano. Per esempio il pappagallo, lo scoiattolo grigio, la testuggine palustre, il gambero rosso di fiume, il procione, conosciuto anche come “orsetto lavatore”. Quest’ultimo, originario del Canada, importato come animale di compagnia, in alcuni casi si è rivelato troppo impegnativo ed è stato messo in libertà.
Si è riprodotto rapidamente ed ora costituisce un problema. Soprattutto in Lombardia e Toscana. E’ onnivoro e, ad onta della grande simpatia che ispira, è temuto da agricoltori e allevatori di polli. In più può portare malattie come la leptospirosi, la giardiasi o il cimurro. E per questo da anni è considerato possibile “pericolo per la salute e l’incolumità pubblica”, tanto che ne è proibita la detenzione. Sul cosa fare scoppiano le polemiche più roventi: soppressione, sterilizzazione, “detenzione” in centri specializzati. Il procione Lucio, che viveva in una casa di Milano, per molti anni ha vissuto nel centro di Monte Adone, quello che abbiamo conosciuto per i lupi.
La morale, insomma, è che con gli animali non si scherza, che non tutti possono essere ridotti a “pet” nda tenere in casa o in giardino. Ne va della loro salute e anche, direi, della loro dignità. Questi ultimi anni ci dicono che abbiamo un patrimonio naturalistico e faunistico prezioso da conservare. Qualche volta facendo un doveroso passo indietro.