*di Giovanni Laganà*
Frequento il mare sott’acqua da più di venti anni e purtroppo ho avuto solo sporadici ed occasionali incontri con quello che è considerato il più nobile fra tutti i crostacei. Com’è facile immaginare, il mio riferimento è all’aragosta, animale che ha subìto – già a partire dal secolo scorso – una severa decimazione le cui motivazioni sono da ricercarsi essenzialmente nell’indiscriminata “caccia” da parte dell’uomo, inconsapevole, o forse no, che il suo scellerato comportamento ne sta provocando l’inevitabile estinzione. Nel mio peregrinare fra siti diversi del Mediterraneo ho avuto il privilegio di incontrare l’aragosta proprio ne suo ambiente e, nella mente, ricercando nello scrigno dei ricordi, affiorano indelebili le immagini delle antenne disposte in fila nelle fenditure delle scogliere sommerse che, nella loro funzione di estremità sensoriali in continuo movimento, si accendevano di rosso ed arancio alla presenza della luce artificiale svelando, nel contempo, i segreti delle tane e dei nascondigli dell’animale.
Ricordo le “sentinelle” (per come avevo definito le aragoste poste l’una accanto all’altra) subito dopo la prima immersione, lungo le spacche orizzontali delle scogliere sulla Secca di Tindari, all’uscita dalla grotta dei 54 metri, dove le lunghe antenne trovavano spazio all’ombra delle fitte ramificazioni della gorgonia rossa. Spettacolo difficile da dimenticare alla stregua di quello, parimenti raro, della Secca delle Cataratte a San Vito Lo Capo. Anche nel canale di Sicilia, nel cuore del Mediterraneo, sulle estese scogliere dei banchi Scherchi, Talbot e Avventura, le aragoste si trovavano, abbondantissime, a pochi metri di profondità e grandi, tanto grandi. E come non fare cenno alle “aragoste calabresi” dello Stretto di Messina, diffuse un tempo sullo Jonio e sul Tirreno e che ora non si sa a che profondità abbiano deciso di vivere. Purtroppo, la pesca intensiva, praticata anche a parecchie miglia dalla costa, sta causando la rarefazione della specie ed ultimamente la situazione è davvero preoccupante al punto che parlare oggi di aragoste del Mediterraneo è quasi come parlare del passato. Quanto al suo dilemma, non tutti sanno che l’aragosta nasce nuda e solo successivamente la natura le fornisce un abito su misura: il carapace.
Quest’ultimo non cresce con lei, col tempo si trasforma in una gabbia e poi in una tortura. Così, quando la corazza diventa opprimente, l’aragosta la getta via e resta nuda: senza protezione, sola, in attesa di crearsene, più volte nel corso della sua vita, una nuova. E’ inutile dire che la sua caratteristica tipica è la presenza, anteriormente, di due antenne più lunghe del corpo che presentano striature gialle e rosse a tratti ed hanno la funzione, oltrechè sensoriale, anche di difesa. Dotata di una coda bellissima a forma di ampio ventaglio, l’aragosta possiede diverse gambe, di cui solo una parte utilizzate per camminare. Diffusa non solo nel Mediterraneo, vive preferibilmente su fondali rocciosi, dai 20 ai 150 m di profondità, anche se capita di incontrarla su fondi misti e persino sabbiosi, durante gli spostamenti notturni o in tane casuali ricavate sfruttando un piccolo relitto o una pietra isolata sul piatto fondale. Ama la vita sedentaria ed è alquanto ospitale tendendo a condividere la propria dimora con amici e parenti senza soffrire la convivenza.
Golosa soprattutto di plancton, si riproduce alla fine dell’estate e in inverno è prevista la nascita delle larve che raggiungono, fin da subito, i fondali che le ospiteranno per il resto della loro esistenza. E’ inutile negare che l’incontro del subacqueo con l’aragosta contribuisce a conoscere e comprendere meglio i suoi comportamenti attraverso l’osservazione diretta. L’uso poi della fotografia per mostrare e condividere quanto apprezzato in natura in prima persona, pone certamente in risalto, una volta tanto, la biologia dell’aragosta e non il suo sapore in cucina! Peraltro, l’eleganza e la straordinaria bellezza, per forma e colori, del più nobile tra i crostacei, sono sempre stati elementi di spicco per la costruzione di una fotografia naturalistica carica di fascino. E così, ho colto l’occasione del mio appuntamento mensile con i lettori di Med augurandomi che immagini e parole possano servire al lettore per concentrarsi sul sempre più complicato rapporto tra uomo e natura, anche sott’acqua: fermiamoci a riflettere e proviamo ad amare il mare in modo disinteressato.