di Giorgio Trichilo
Una storia di sentimento e di sapore. Questa è la chiave migliore per raccontare il Tartufo Bianco di Alba, una delle eccellenze della cucina italiana nel mondo. Diciamocelo pure, un vero brand del Made in Italy al pari di Ferrari, Armani, Marcello Mastroianni o Sofia Loren.
Si parla del tartufo Bianco d’Alba – a proposito, se per caso a cena con gli amici volete apparire dei veri intenditori sappiate che il suo nome scientifico è Tubermagnatum Pico – e ti vengono subito in mente ristoranti pluristellati, occasioni glamour e lusso in tavola.
Eppure la storia nasce in mezzo alla natura, lassù tra le colline brumose dell’Alta Langa piemontese: qui si celebra il sentimento che lega un uomo e un cane. Senza di loro, senza il loro amore e la loro complicità le tavole più prestigiose non potrebbero vantare questo gioiello.
Il cane da tartufo è l’inseparabile amico del trifulau, come in dialetto è definito il cercatore di tartufi. L’esperienza della “cerca” è senz’altro l’esperienza più emozionante per gli appassionati di tartufi. Il trifulau per scovare un tartufo deve avvalersi della fiuto finissimo del suo cane, addestrato al riconoscimento dell’aroma di questo fungo e dell’intuito maturato in anni di esperienza. Il fido animale individua il tartufo, ma spetta al cercatore estrarlo dal terreno: per quest’operazione servono un particolare zappino e, soprattutto, la massima delicatezza.
Come spiegano gli esperti del Centro Nazionale Studi del Tartufo di Alba, l’ambiente ideale per il Tubermagnatum è un terreno preferibilmente marnoso-calcareo, di altitudine inferiore ai 700 m s.l.m, povero di fosforo e di azoto, ricco di potassio, bagnato da piogge primaverili ed estive, possibilmente in vicinanza di corsi d’acqua su fondi valle ma privo di ristagni. Qui il Tartufo Bianco si origina in rapporto simbiotico con alcune specie di piante: dal cerro al rovere, a differenti tipologie di pioppi.
Se questo è lo scenario in cui nasce, è la cucina il palcoscenico in cui diventa assoluto protagonista. Prima di conoscere i piatti in cui sa offrire il meglio di se, è utile scoprire una serie di curiosità che lo riguardano. Il Tartufo Bianco si consuma fresco e si può conservare per circa una settimana: si può tenere in frigorifero, ma si consiglia di avvolgerlo in carta assorbente e chiuderlo in un contenitore di vetro con coperchio. Attenzione: non si cuoce mai, si lamella sempre crudo con un utensile specifico a lama affilatissima, il tagliatartufi.
Il Tartufo Bianco è figlio della terra di Piemonte e si vede: contiene dentro di se alcuni tratti tipici del carattere piemontese come la sobrietà, la discrezione, un’allure dal piglio aristocratico. Ne è prova il modo in cui è entrato a far parte nella tradizione culinaria più esclusiva. Ecco che la storia di sentimento nata tra i boschi di Alta Langa cede il passo a una storia fatta di sapori. Il Tartufo Bianco si è inserito alla chetichella nella cucina piemontese, grazie alla lungimiranza dei cuochi savoiardi. Timido, riservato, ma sicuro della sua capacità di seduzione. Il segreto? Il profumo naturalmente: articolato, intenso, travolgente; un profumo composto da ben 120 molecole volatili. Basta una grattata di appena una decina di grammi per impreziosire la portata: prende subito il sopravvento quell’incontro di amorosi sensi tra il cibo e il palato. Un’alchimia che si ritrova nei classici piatti della tradizione come la carne cruda battuta al coltello, i tajarin in bianco, la fonduta, l’uovo fritto.
E proprio, alla combinazione uovo-tartufo – all’”equilibrio perfetto” come è stato definito – è stata dedicata l’89esima edizione della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco di Alba, conclusasi lo scorso 24 novembre. All’ombra del Duomo, il Tartufo si è affidato all’estro e alla creatività di 50 chef di cui 29 Stelle Michelin d’Alba. La manifestazione, snodatasi lungo le strade della capitale delle Langhe attraverso show-cooking, workshop, laboratori tematici, momenti ludici per bambini, ha presentato pure mostre di arte e di design. Sottolinea a questo proposito Liliana Allena, presidente dell’Ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco di Alba: «Il cibo è una delle più straordinarie espressioni della cultura materiale ed è indubbiamente una delle motivazioni di viaggio per chi raggiunge le colline di Langhe, Roero e Monferrato, Patrimonio dell’Umanità Unesco.»
Non poteva mancare l’Asta Mondiale del Tartufo Bianco d’Alba, evento internazionale giunto quest’anno alla XX edizione che ha come sempre un’attenzione particolare al sociale devolvendo il ricavato della vendita all’asta in progetti di beneficenza in Italia e nel mondo.
A proposito, quanto costa il Tartufo Bianco? Nel 2018, un’annata generosa sul piano della produzione, il borsino del Tartufo Bianco oscillava tra i 250 e i 350 euro all’etto (la pezzatura media è di venti grammi); nel 2017, anno meno generoso, il borsino ha visto schizzare il prezzo anche a 600 euro all’etto. E nel 2019? Il borsino è aperto; ma se siete solo dei buongustai e volete togliervi la gustosa soddisfazione, seduti al ristorante, sappiate che una grattata di 10 g di tartufo sul vostro piatto preferito vi costerà non meno di 30 euro. Buon appetito.