Specchiarsi nell’arte di Jeff Koons

bianca sestini

*di Bianca Sestini*
*foto di Giacomo Savini*

Una mostra per specchiarsi nell’arte di Jeff Koons. Fino al 30 gennaio 2022 Palazzo Strozzi a Firenze ospita “Shine”, a cura di Arturo Galansino e Joachim Pissarro. L’edificio Quattrocentesco nel cuore della Città del Giglio custodisce opere realizzate dal celebre artista americano nel corso di più di 40 anni di attività. La selezione fiorentina, formata da prestiti provenienti da musei internazionali e prestigiose collezioni, è costruita su un concetto peculiare del linguaggio di Koons. Un’arte che riflette per far riflettere.

jeff koons

Da qua è partita decenni fa la rivoluzione dell’autore, uno dei più commentati e amati del panorama contemporaneo. “Non si tratta di creare un oggetto o un’immagine; tutto avviene nella relazione con lo spettatore. E qui che avviene l’arte”, sostiene Jeff Koons parlando del suo lavoro. Ecco perché “Shine” si sofferma sull’essenza lucida e riflettente delle sue creazioni. Una costante attraverso la quale il maestro USA si dimostra da sempre capace di far dialogare cultura alta e popolare, la sua interiorità e quella del pubblico affrontando il macrotema del rapporto fra ciò che è vero e ciò che è solo apparente.

jeff koons

Nel percorso allestito a Palazzo Strozzi fondamentalmente si chiede ai visitatori di seguire la luce. La maxiscultura di Balloon Monkey (Blue) raffigura una composizione di palloncini a forma di scimmia, ispirata a quelle tipiche delle feste di compleanno dei bambini. Il cortile si replica più volte sulla sua superficie azzurro metallizzato. È una vita che Koons indaga l’estetica dello splendore. Cosa distingue un semplice bagliore dalla lucentezza, il sembrare dall’essere? L’artista pone questo interrogativo stimolando i sensi mediante luminosità, colori brillanti e riflessi. Jeff Koons mutua la provocatorietà da Marcel Duchamp e Andy Warhol. Non servono materiali raffinati per trasmettere il suo messaggio e l’uso dell’acciaio inossidabile con cui è fatto il trenino di Jim Beam – J.B. Turner Train lo conferma. Le sette, luccicanti carrozze del convoglio trasportano bourbon, un tipo di whisky molto comune in commercio. L’alcol funziona da espediente per tradurre in arte l’ambiguità del reale e l’esperienza dell’equivoco, la scoperta di un contenuto banale ammantato da un involucro vistoso. Le opere di Koons hanno più di qualcosa che rimanda alla pubblicità di successo. Ammiccanti ed enigmatiche al punto giusto, avvicinano con l’esca della familiarità per svelare soltanto in un secondo momento la loro complessità.

jeff koons

È quello che succede con Rabbit, forse uno dei capolavori più conosciuti dell’autore. C’è una friggitrice installata su due neon accesi per esplorare il processo di invecchiamento, mentre con una palla da basket sospesa in una soluzione acquosa all’interno di una teca la mostra esamina l’idea della vita e della morte. “Ci sono molti oggetti che non posso usare, perché non si trasformeranno e non si presenteranno con nessuna informazione psicologica e artistica pertinente al mio vocabolario […]. Ma poi ci sono alcuni oggetti che sono semplicemente perfetti per questo”: un discorso in cui Jeff Koons ricomprende anche l’arte tradizionale, quella degli altri e del passato. Così entrano in scena le gazing ball, le sfere blu di vetro soffiato inserite in riproduzioni di sculture e dipinti. Sulle loro rotondità lo spettatore osserva se stesso e l’ambiente che gli sta attorno a 360°, trasfigurandosi nel proprio oggetto di contemplazione. Per il genio statunitense della “riflettenza” pare che l’obiettivo coincida con l’accettazione di sé e degli altri: “L’arte riguarda le tue possibilità come essere umano. Riguarda la tua eccitazione, il tuo potenziale e ciò che puoi diventare. Afferma la tua esistenza”.

hulk

In occasione di “Shine” Palazzo Strozzi si tramuta in una sorta di gigantesca galleria degli specchi, affinché Koons possa ripetere l’operazione che dagli anni ‘70 ad oggi è il suo brand di fama planetari: portare le persone dentro i musei di tutto il mondo e trattenerle a guardarsi, per provare a vedersi davvero.

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