di Enea Rotella
Spartaco
Le terre della Magna Grecia nel corso dei secoli sono state attraversate da artisti, filosofi, uomini di fede, politici di alto rango e condottieri le cui gesta ancora oggi vengono narrate. Tra tutti i guerrieri forse quello maggiormente carismatico è Spartaco. Il suo nome venne urlato sui campi di battaglia della Campania, Lucania e Calabria così come venne sussurrato, temuto e disprezzato nell’antico senato romano. Un uomo che mise al primo posto la libertà sua e dei popoli attirando su di sé l’ira di interi eserciti. Disertò dalla milizia romana per via della disciplina intransigente a cui dovette sottoporsi. La sua fuga non durò molto, fu catturato e condannato dalla legge militare romana a vestire i panni da gladiatore. Ma anche questa vita fatta di arene e polvere, di sangue e schiavitù ben presto fu ripudiata. La storia narra che Spartaco insieme ad altre decine e decine di gladiatori, scappò dallo schiavista Lentulo per rifugiarsi nei pressi del Vesuvio. Quei giorni verranno ricordati come la terza guerra servile (73 a.c.) che ebbe inizio con la Battaglia del Vesuvio. La legione romana fu costretta alla ritirata dopo che gran parte dei soldati erano stati sterminati da Spartaco e dai suoi compagni, dopo una mossa strategica che gli aveva consentito di accerchiare l’accampamento romano. Le battaglie iniziarono a susseguirsi una dopo l’altra, aumentavano le vittorie e di pari passo i bottini di guerra che venivano equamente suddivisi con tutti. Era nata una comunità forte dove gli schiavi erano diventati liberi, e gli ultimi parte integrante di un progetto più grande. Ma come accade nelle più belle e intriganti storie, raggiunto il culmine della loro importanza iniziò a serpeggiare l’ombra dell’avarizia e della superbia. I Galli e i germani decisero di abbandonare Spartaco dedicandosi al saccheggio e alla distruzione di interi villaggi. La battaglia finale inesorabilmente stava per avvicinarsi anche se gli storici ad oggi non sanno di preciso dove si sia consumata: secondo alcune fonti nei territori lucani, per altre in quelle calabresi. Plutarco narra che Spartaco nell’ultima battaglia uccise il suo cavallo: quella sarebbe stata per tutti loro la morte o l’inizio di una nuova vita. Ma l’ineluttabilità del Fato mise la parola fine a quei giorni di gloria. Per tutto il tempo dell’ultima battaglia il ribelle fu lì, in mezzo ai fendenti di lancia e spade, pronto a ribattere colpo su colpo mentre i suoi compagni iniziarono ad abbandonare il campo una volta vistosi sopraffatti. Ed è proprio in questo punto dove finisce la vita, dove termina la storia, che ha inizio la leggenda. Secondo i racconti di Plutarco il suo corpo non fu più ritrovato, per altri riuscì a fuggire, per altri fu crocifisso insieme a decine e decine di prigionieri lungo la via Appia. Non avremo mai l’assoluta certezza se sia realmente morto tra la Lucania e la Calabria; quello che rimane sono i suoi sogni di libertà ed eguaglianza che non sono rimasti soffocati negli strappi della sua carne lacerata.