*di Daniela Rabia*
Intervista alla sposa, La nave di Teseo editore, è l’ultimo libro di Silvio Danese, giornalista e critico che si è occupato di cinema, musica e teatro. È realmente un’intervista a una sposa, Stefania C., una vedova, una donna che dopo anni di violenze e soprusi ha ucciso il marito Dino Russo. Il racconto della vita familiare fa rabbrividire.
Si entra nello scenario della dipendenza che non ha nulla a che vedere con l’amore, della protezione di una madre verso i figli, Laura e Antonio, da immagini brutali di vita quotidiana, nella descrizione delle fragilità di un uomo che ha assorbito nella propria famiglia d’origine la violenza e la replica. Dino è un uomo con problemi di identità sociale, si spaccia per ingegnere sul lavoro, è geloso della moglie, di fondo la considera una sua proprietà ed è incapace di concepire un rapporto coniugale alla pari basato sul rispetto. La figura di Stefania viene delineata nelle risposte alle domande del suo interlocutore in prigione, nei suoi silenzi, nelle dichiarazioni che toccano l’anima “Perché fuori io avrei dimenticato e andavo avanti. Io fuori avrei cancellato tutto. Lo so.
Qui invece mi fanno ricordare, ogni giorno, ogni giorno”. Un coltello piantato nel fegato per difendersi, essendo stata messa spalle al muro da una persona ostile, rabbiosa, fuori controllo fa sì che il lettore prenda le parti di Stefania, faccia il tifo per lei e per tutte le donne vittime di violenza. Il testo di Silvio Danese ha una potenza descrittiva, una capacità di raggiungere l’attenzione di chi vi si accosta, un’intensità fuori dal comune. È uno scritto che sembra si ascolti perché nel leggerlo, scorrendo avidamente le pagine, si ha la sensazione netta di udire il suono delle parole della protagonista e le voci dei personaggi che la circondano. Eppure là, tra i tanti evocati, Stefania è sola. E la sua solitudine diventa un macigno il cui peso è insopportabile. Si resta ignari e attoniti di fronte a questa donna nel tentativo di capire “dove ha trovato il fiato, per dire tutto così d’un fiato”, per raccontare “quello che chiamavamo amore”, o dove abbia scovato la forza “per sentire che sei ancora. Una persona”. Una storia ordinaria ma straordinaria al contempo, “storia di ordinaria follia” potremmo dire usando il titolo di un’opera di Charles Bukowski, ma purtroppo una vicenda che troppe volte entra nella quotidianità in una società e in un tempo incapace di arrestare forme estreme di violenza familiare.
Dopo “Anni fuggenti” del 2009 e “Il suono della neve” del 2013 Silvio Danese torna a occupare gli scaffali delle librerie con un’opera imperdibile e di spessore. Fa effetto constatare amaramente che in un volume strutturato sotto forma di intervista resti aperto un punto di domanda cruciale: “Perché?Perché tutto questo oggi ancora sotto il nostro cielo, nelle nostre case, nelle nostre vite? Perché ancora spose in nero?”.