*di Vittoria Camobreco*
Carmela gira ancora con la sua “bumbula” sulla testa. Per i vichi e per le piazze, declamando le sue poesie. Nella gonna nera che volteggia come nella foto e con la voce che arriva sempre da lontano, dice:” Un giorno mi sentivo disperata… da pochi giorni che sono sposata, amaramente mi ero pentita.. nel mare profondo mi ero gettata…”, per fortuna era stata salvata.! Tibi corre e Tascia segue. Ma sono solo ricordi trasparenti che diventano visione nella nostra mente, della contadina poetessa Carmela Barletta, dei bambini innamorati che il destino separa, mentre seguiamo i loro passi immaginari nel paese di Sant’Agata Del Bianco, in provincia di Reggio Calabria. La poesia è il punto di partenza, qui. E poi il monte.
Sul cielo del crepuscolo che illumina ogni cosa di un freddo e pallido turchino, nitido e lontano, il monte Scapparone ascolta e guarda da sempre. Di sera si tinge di blu come la notte prima del nero, come uno zaffiro acuto e profondo, brilla su luoghi e persone che qui vivono. Il paese che abbiamo visitato e che attraversa immutato i secoli dentro un destino di bellezza e di arte, è una gemma calabra antica, nel cuore della Locride, nell’anima dell’Aspromonte. La sua Santa Patrona è Sant’Agata Martire che caratterizza lo stemma del Comune.
Situato sull’area collinare ionica che sovrasta la città di Bianco e abbraccia altri paesi come Samo, Caraffa Del Bianco, Ferruzzano, Bruzzano Zeffirio, Sant’Agata del Bianco è il fiore che nacque nel “Giardino di Campolaco” mitico luogo di natura e “delizie”, salvezza e rinascita dopo i grandi terremoti di fama secolare, come quello del 1349. Un gene alfa votato all’arte e alla cultura, ha percorso secoli e calamità, passando di generazione in generazione nella gente di questo magnifico borgo un tempo chiamato S. Alasia e poi S.Agata di Precacore, infine Del Bianco.
Abbiamo deciso di visitarlo perché ovunque vai, le parole, le rime, i versi, l’immagine che nascono dal niente, diventano capolavori. Parlano i muri, parlano le porte scritte, parlavano i contadini analfabeti che conoscevano però Dante a memoria, inventavano versi estemporanei anticipando di un secolo i nostri rappers. “Letteratura innata e congenita”, potremmo definire i racconti e le genialità di questo paese che ha origini lontanissime, come tutto il territorio del resto, antropizzato da millenni. Seppur incerti i dettagli della sua nascita, si sa che qui aleggia impalpabile dentro la nebbia del tempo e delle notizie, l’alone della principessa normanna Adelasia che dal suo regno di Palermo arrivava nel resto meridionale d’Italia, durante il XII secolo, per innamorarsi di questi posti radianti nella luce mediterranea, davanti al mitico mare del Sud. Il suono del vento tra le case e in mezzo agli alberi ci sembra lo struscio dei suoi abiti di seta e dei suoi velluti. Il profumo dei legni di vite e di gelsomino, l’odore dei suoi capelli. Di lei non sappiamo quasi niente ma la fantasia ci basta per sognare. E come tutti i paesi del territorio, la storia ha avuto comuni dinamiche: famiglie e casati e feudi si sono succeduti di secolo in secolo, parrocchie, vescovadi e baronìe, diatribe e pacificazioni, rivolte e faide. Negli scenari antichi di una terra densa di povertà e puntellata di ricchezza, si sono alternati signori di nobile animo e tiranni del sopruso e dello sfruttamento. Sono passati i Ruffo, i Centelles, i Marullo, Squarciafico, De Franco, Tranfo, gente che ereditava o comprava l’intero paese, si prendeva di diritto le spose, facendone il proprio dominio. Oppure portava benessere e civiltà.
Ma come vive Sant’Agata Del Bianco oggi? Tutto il bagaglio di vita che si porta dietro, è diventato un patrimonio inestimabile di offerta turistica e culturale, di aneddoti e scoperte che la nuova generazione politica e non solo, sa valorizzare nel migliore dei modi. La cittadinanza tutta adotta quartieri e ne fa dei meravigliosi angoli di bellezza, scorci sul Mare Ionio e su per le montagne. Il sindaco Domenico Stranieri e la sua Giunta, ci hanno aperto le porte dei loro sogni che sono semplici e belli. Far vivere il paese come ambasciatore delle sue memorie e laboratorio di idee e creatività contemporanee. Sono tanti i personaggi conosciuti nel mondo, portatori di quel gene artistico e intellettuale che caratterizza i santagatesi, tramandato fino ai giorni nostri. Salendo per le stradine verso il centro storico, incontriamo le “porte pinte” delle case deliziose, silenti e monumenti del tempo che è stato. Tra simbolismi ed emozioni, molte frasi del grande scrittore Saverio Strati, ci riportano ai suoi romanzi. Nato qui, al tempo in cui l’emigrazione decimò le speranze dei giovani, prima, durante la Guerra e nel Dopoguerra, è il grande narratore del Meridione, di quel Sud popolato di miseria e di tenere illusioni. Lo “scrittore muratore”, autore di grandi romanzi come “La Teda”, “Tibi e Tascia”, “Mani vuote”, “La marchesina”, “Avventura in città”, “Il nodo”, “Il selvaggio di Santa Venere”, è la figura di cui S.Agata Del Bianco va fiero perché ha narrato con realismo e sentimento la povertà e l’anima della Locride, sofferente e bellissima, attraverso viaggi antropologici densi di fascino e di avvincente malinconia, senza mai ignorare la speranza, il desiderio di conoscenza. La sua casa è oggi un museo dove ci si incontra per ricordare il genio letterario e progettare la vita culturale contemporanea. E intanto le pareti di case e palazzi si colorano di magnifici murales, vere storitellings illustrate, tra patriottismo e diritti civili, mondo contadino e politica, le terre ed il lavoro, l’eroismo ed i suoi ideali, cinema e letteratura.
Sant’Agata del Bianco è cosmopolita, ha un assessore spagnolo, Jaime Gonzales Molina, un giovane che ha deciso di vivere qui e aggiungere un pezzo di cuore ispanico a questo progetto mediterraneo che richiama e unisce popoli dediti alla condivisione, all’interazione culturale e al pensiero. E’ nel festival “Stratificazioni, Letteratura e Musica sul lato ionico del pianeta Terra”, la somma espressione di questo sincero anelito, durante le calde notti di agosto nel “Giardino del Pensiero” e sul monte Campolico. Veglie di musica e letture con la presenza di importanti nomi nazionali e internazionali, guardando il monte blu e la bianca, sinuosa fiumara La Verde che si unisce al mare.
“Chi vi manca cumpàri Micantòni, passastavu ‘o paijisi patìmenti, passastavu miseria e umiliazioni, e lu cumpatimentu di’ la genti…” “..la medicina vi la detti a tutti e tra nu’ misi mi ringraziati tutti..eu ‘mmazzu papuzzi e bbratti, e puru surici, pulici e gatti..” Canta Così Romano Scarfone evocando miseria e drammi di queste terre un secolo fa, quando si partiva per terre lontane o ci s’ingegnava per imbrogliare la gente, vendendo pietre grattugiate come insetticida. Quante cose abbiamo incontrato nel paese di Strati. Niente è stato smarrito, né i ricordi né gli oggetti, tutto è raccolto nel “Museo delle cose perdute”, che non è il solito museo della civiltà contadina, ma il recupero di tutto ciò che è stata vita e che Antonio Scarfone ha raccolto e raccoglie durante la sua. Cose sparse, dimenticate nelle case, dentro le stalle, nelle sartorie, in una cantina, che invitano a pensare e ad arricchire la conoscenza, a conservare memoria forte del proprio ethnos. A Sant’Agata Del Bianco le donne dipingono, recuperano, allestiscono, gestiscono la galleria d’arte contemporanea del paese. Sono le eredi di Carmela la poetessa che inventava poesia e illustrava storie con le parole.
L’arte, dicevamo, l’arte. E’ Domenico Bonfà, in arte Fabòn, il mito pittorico di Sant’Agata, il sensibile artista di fama internazionale che da bambino disegnava ogni giorno sulla lavagna della sua classe, il ritratto del suo maestro. Bambino prodigio di Sant’Agata che è arrivato a New York, ha girato il mondo per portare i colori del Mediterraneo, dai deserti africani agli sdarrupi e alle meraviglie della sua Calabria. Mistero e bellezza inspiegabile nei soggetti delle sue opere, tra filosofia e inedita lievità cromatica. E cosa possiamo dire delle ninfe sulle rocce, di cavalli e volti scolpiti dall’artista contadino Vincenzo Baldissarro? Come strane e bellissime creature tra mitologia e realtà, le abbiamo trovate in località Mandanici e ci è sembrato di vedere le fate!! Possiamo dire che sono la continuità oggi, di quella mano antica che scavava nella pietra duemila anni fa, che ha inconsapevolmente tracciato “la via del vino” con i suoi palmenti, dentro le campagne mute e arcaiche dell’Aspromonte. Qui il ricercatore e appassionato Orlando Sculli ha mostrato al mondo il volto antico delle vigne, i vitigni silvestri dei Greci, Romani e Bizantini che in questo territorio producevano il vino più aromatico del mondo, lo pigiavano nella vasche scavate nella roccia viva. E scorreva, bolliva, frizzava, inebriava. Salute a noi che siamo ancora qui per non dimenticare!