Raffaello Sanzio

Omaggio ad un’icona del Rinascimento a 500 anni dalla morte

di Doina Ene – storica dell’arte

Raffaello nacque il 6 aprile 1483, o forse il 28 marzo, a Urbino, da Giovanni Santi e da Magia di Battista Ciarla. Il padre era attivo alla corte di Federico da Montefeltro, importante condottiero morto nel 1482, e poi dell’erede al trono Guidobaldo. Il coltissimo e raffinato Giovanni era a capo di una fiorente e operosa bottega di Urbino, e fu inoltre autore tra il 1482-1488 di un famoso componimento, La vita e le gesta di Federico di Montefeltro Duca di Urbino nota come Cronaca rimata. Urbino in quel periodo era uno dei centri più avanzati in campo culturale e il luogo dove si raccolsero molti dei più importanti artisti ed intellettuali d’Italia e d’Europa: Pollaiolo, Piero della Francesca, Pedro Berruguete, Giusto di Gand e molti altri. Il signore di Urbino chiamò alla sua corte anche gli architetti Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini per la realizzazione del Palazzo Ducale (fig. 1), “una città in forma di palazzo” come la definì Baldassare Castiglione. Era questo l’ambiente dove si formò e lavorò il padre di Raffaello, eseguendo numerose opere per il Palazzo Ducale, come le Muse, oltre che per l’aristocrazia marchigiana. Giovanni Santi, assieme ad altri artisti di corte tra i quali citiamo Leonardo, si occupò anche dell’allestimento degli spettacoli teatrali.

In questo ambiente colto avvenne la formazione del giovane Raffaello, il quale apprese e si esercitò nella bottega paterna che si trovava nella stessa abitazione familiare. Qui si impadronì dei rudimenti della professione di pittore imparando a preparare i colori, gli strumenti, le tavole le tele e ogni altro aspetto necessario all’esecuzione dei dipinti. A causa della prematura morte del padre, all’età di soli 11 anni il ragazzo ereditò la bottega; nel tenere aperta l’attività fu sostenuto dalle risorse di famiglia e da Evangelista da Pian di Meleto.

Raffaello, dotato di un riconosciuto talento naturale fin da bambino, come ci narra il Vasari nelle Vite, poté forse frequentare durante questo stesso periodo e fino al 1499 anche la bottega di Pietro Vannucci, detto il Perugino, per volontà del padre o forse addirittura su interessamento dell’Evangelista. Perugino era una figura di spicco della scena artistica di quel periodo e attivo tra Perugia e Firenze; taluni ipotizzano quindi che Raffaello non seguì canonicamente un apprendistato continuo presso il Perugino, ma forse solo saltuariamente. La presenza dei tratti caratteristici delle opere del Vannucci, quali la dolcezza dei personaggi, le vesti e le acconciature, i paesaggi, nella produzione di Raffello testimoniano comunque come la frequentazione fra i due fu importante e formativa per il giovane futuro maestro. Una probabile stretta collaborazione nella realizzazione della predella La Natività della Vergine per la pala della Madonna col Bambino e i Santi di Fano è stata suggerita da Roberto Longhi. Suggestivo è infatti raffrontare il delicato profilo della vergine nel piccolo affresco (fig. 2) che si trova al primo piano della casa-bottega, attribuito alla mano del giovanissimo pittore, con le sembianze di uno dei personaggi proprio della predella di Fano.

La prima opera riconosciuta dalla critica come completamente autonoma risale al 1499 ed è lo Stendardo della Trinità di Città di Castello (fig. 3), opera purtroppo molto danneggiata. In questo ex-voto sono peraltro individuabili tracce della produzione del Perugino a fianco di richiami dell’opera di Luca Signorelli presente nella cittadina umbra fino a quell’anno per poi trasferirsi a Orvieto per lavorare alla Cappella di San Brizio nel Duomo.

Il contratto stipulato il 10 dicembre del 1500 per la pala d’altare della cappella di Andrea Baronci nella chiesa di Sant’Agostino a Città di Castello è invece il primo documento che  qualifica l’Urbinate come “magister”, all’età di soli 17 anni. Della pala di San Nicola da Tolentino oggi restano solo quattro frammenti come la Vergine, il Padreterno e i due angeli, o come il disegno (fig. 4) oggi conservato al Musée des Beaux-Arts di Lille dove possiamo ammirare il naturale spirito creativo che rivela fin dall’inizio uno stile inconfondibile.

Già da questi frammenti si percepisce un gran senso di ordine e di equilibrio caratteristico delle sue composizioni.

Un’ ulteriore opera che Raffaello realizzò per Città di Castello nel 1503 fu la Crocifissione Gavari  conosciuta anche come Mond, oggi alla National Gallery di Londra, che testimonia una profonda vicinanza ai modi di Perugino. Ma già dall’anno precedente, il 1502, il maestro era molto apprezzato dalla committenza di Perugia dove realizzò ben tre pale d’altare tra le quali la Incoronazione della Vergine nota come Pala Oddi, oggi nella Pinacoteca Vaticana, la Pala Colonna (fig. 5), ora al Metropolitan Museum di New York.

Testimonianze della sua attività lontano da Urbino sono anche gli ormai riconosciuti cartoni e disegni sollecitati da Bernardino di Betto detto il Pinturicchio e da lui affrescati per le Storie di Enea Silvio Piccolomini (Papa Pio II) nella libreria Piccolomini nel Duomo di Siena.

Urbino comunque frutterà a Raffello importanti commissioni da parte della corte, come le due tavole realizzate per Giovanna Feltria figlia di Federico, il San Giorgio e il drago e il San Michele e il drago, oggi al Louvre (figg. 6-7).

Il 1504 è considerato l’anno della fine del periodo giovanile con la produzione del celeberrimo Sposalizio della Vergine, oggi a Brera, firmata e datata “RAPHAEL URBINAS MDIIII”. In esso l’ispirazione è indiscutibilmente ancora riferibile alla Pala del Perugino realizzata pochi anni prima, ma la lezione di Piero della Francesca appare ben presente e tale da consentire a Raffaello di superare il maestro Perugino soprattutto nei rapporti spaziali, nell’architettura e nelle figura (fig. 8-9).

Alla fine dello stesso anno Sanzio è a Firenze dove può osservare la nuova pittura di Masaccio, Donatello, Piero di Cosimo, Leonardo e soprattutto Michelangelo, intenti questi ultimi due agli affreschi per il Salone dei Cinquecento. Qui potrà perfezionare ulteriormente il rapporto tra spazio e figure approfondito dal vero e tramite modelli antichi. Pur presentato e referenziato da Giovanna Feltria al Gonfaloniere Pier Soderini, Raffaello non ricevette commissioni pubbliche durante il soggiorno fiorentino, ma solo commissioni per immagini sacre da parte di membri ricche famiglie attive nel commercio e nella finanza come Taddeo Taddei, Agnolo Doni, Lorenzo Nasi e altri. Le numerose Madonne col Bambino sono frutto proprio di questo periodo toscano: particolarmente celebri sono la Madonna del Cardellino degli Uffizi e la Madonna del granduca alla Galleria Palatina. Oltre ai soggetti devozionali l’Urbinate eseguì anche una serie di ritratti dove l’attenzione all’aspetto psicologico del soggetto faceva da contraltare alla rappresentazione dello suo stato sociale attraverso la minuziosa rappresentazione delle vesti e dei gioielli. In Toscana Raffaello ebbe poi modo di realizzare altre celebri opere quali La muta, l’Autoritratto e la Dama col Liocorno rispettivamente conservate a Urbino, agli Uffizi e alla Galleria Borghese. Ma soprattutto l’importante dipinto sacro del Trasporto di Cristo Morto del 1507 noto come Pala Baglioni, oggi conservato alla Galleria Borghese, costituisce una complessa composizione che lo impegnò a fondo e al quale dedicò numerosi disegni di studio e preparatori.

Vasari ci narra come sul finire del 1508 Raffaello partì repentinamente da Firenze lasciandovi anche delle opere incompiute. La causa fu, secondo Vasari, la chiamata del suo conterraneo Donato Bramante, il quale era capo architetto per la costruzione della nuova basilica di San Pietro presso la corte papale, allora di Papa Giulio II. Qui, tra gli altri artisti operanti a Roma, ritroverà Michelangelo impegnato negli affreschi della volta della Cappella Sistina voluti proprio dal papa Della Rovere. In quegli anni Giulio II volle trasferire i suoi appartamenti abbandonando quelli del predecessore Borgia e affrescati dal Pinturicchio. A questo scopo furono interpellati da varie parti d’Italia molti affermati artisti tra i quali proprio il Perugino, Luca Signorelli, il Sodoma, Lorenzo Lotto e altri. Tuttavia, probabilmente grazie all’appoggio di Bramante, fu preferito Raffaello che così ebbe la possibilità di realizzare alcuni tra i suoi più importanti e riconosciuti affreschi tra i quali ricordiamo: la Sala di Costantino, di Eliodoro, la stanza dell’Incendio di Borgo e quella della Segnatura. Quest’ultima, destinata a biblioteca e studio privati del Papa, ospita vari affreschi: i più importanti sono certamente la Disputa del Sacramento, il Parnaso, le Virtù e soprattutto la celeberrima Scuola di Atene. Questo affresco, realizzato tra il 1509 e il 1511, si è meritato fin dal suo completamento l’ammirazione e la considerazione senza eccezioni di artisti e critici grazie alla raffinata esecuzione, ma soprattutto per la rivoluzionaria composizione della scena. Nell’altrettanto famoso cartone, custodito oggi alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano e appena restaurato, possiamo infatti ammirare e studiare la costruzione della scena che vede protagonisti di un rinascimento del pensiero e dell’arte i più imponenti filosofi e studiosi della classicità greca. Tra questi Platone, impersonato da Leonardo, e Aristotele al centro della scena. In gruppi collocati in varie pose sulla scalinata altre figure quali, Pitagora, Diogene, Socrate, Euclide identificabile come ritratto di Bramante, Plotino, Alcibiade, Zoroastro e molti altri.

Dal cartone stesso (fig. 10), salvatosi da molte vicissitudini e miracolosamente giunto fino ai nostri giorni, è possibile rilevare anche le aggiunte e le modifiche in corso d’opera sull’affresco. In particolare si può apprezzare il tributo a Michelangelo che impersona Eraclito e la comparsa anche dell’autoritratto di Raffello stesso forse nei panni di Apelle.

Presso la corte papale, ormai di Papa Leone X Medici, Raffaello fu nominato anche per altri prestigiosi incarichi quale capo architetto della fabbrica di San Pietro e delle Logge Vaticane, dopo la scomparsa di Bramante, e di conservatore delle antichità romane. Questa innovativa carica, che testimoniava il rinato interesse per la classicità greco-romana, consentì a Raffello di dedicarsi al recupero e alla conservazione del patrimonio dell’Urbe attraverso il rilievo e la catalogazione dei reperti secondo un metodo anticipatore delle moderne procedure archeologiche. Di questo periodo sono di particolare importanza i ritrovamenti del Laooconte, del torso del Belvedere e delle famosissime grottesche della Domus Aurea che tanto influenzeranno l’arte di Raffaello e quella delle epoche successive.

Tra il 1511 e la sua morte, avvenuta nel 1520, l’artista fu impegnato anche per committenze ecclesiastiche e laiche in Roma e fuori della città eterna. Ricordiamo la Madonna di Foligno, il ritratto di Giulio II, la Madonna Sistina con i suoi celeberrimi angioletti (fig. 11). Di grande importanza e influenza sull’arte rinascimentale sono poi gli affreschi eseguiti per la Villa Farnesina di Agostino Chigi, Il trionfo di Galatea, e nella Loggia Amore e Psiche (fig. 12). In Santa Maria della Pace invece, sempre per i Chigi, realizzerà l’affresco delle Sibille e angeli e in Santa Maria del Popolo il progetto per la loro cappella funebre.

In questo periodo di intensa attività Raffello fu impegnato anche nella realizzazione dei cartoni per i dieci arazzi destinati alla Cappella Sistina, recentemente, ancorché troppo brevemente, esposti nella loro collocazione originale.

Non è tuttavia possibile contemplare tutta la produzione dell’operosissima bottega dell’Urbinate, il quale purtroppo terminò la sua breve ma gloriosa vita a soli 37 anni. Vogliamo però almeno nominare altri capolavori dell’ultimo periodo: il ritratto di Baldassare Castiglion e l’Autoritratto con un amico (fig. 13), esposti al Louvre; la Madonna della seggiola e la Velata, presenti alla Galleria Palatina;  la sua amata  musa Fornarina (fig. 14), esposta a Palazzo Barberini. Il futuro Papa Clemente VII Medici commissionò quella che è riconosciuta come la sua ultima opera rimasta incompiuta e forse terminata dal suo allievo prediletto, Giulio Romano: la Trasfigurazione (fig. 15). Questa grande tavola, custodita nella Pinacoteca Vaticana, costituisce forse il suo involontario testamento artistico ed ennesima testimonianza dell’ineguagliabile arte del maestro urbinate.

In occasione della veglia funebre il Vasari ci narra che «gli misero alla morte al capo nella sala, ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione che aveva finita per il Cardinale de’ Medici, la quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l’anima di dolore a ognuno che quivi guardava». Questo l’epitaffio scritto da Pietro Bembo per la tomba di Raffaello nel Pantheon a Roma: “Ille hic est Raphael, timuit quo sospite vinci rerum magna parens et moriente mori.”; ossia:  “Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire” (fig. 16).

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