Il Palazzo dei Normanni ospita O’Tama Kiyohara
di Catia Sardella
L’apertura delle frontiere all’Occidente da parte del Giappone e la scintilla di un grande amore è solo l’inizio dell’internazionale fenomeno artistico, culturale e didattico chiamato “Giapponismo”. La sua culla la città di Palermo, O’Tama la sua creatrice.
Vincenzo Ragusa e O’Tama Kiyohara si incontrano durante l’ultimo ventennio dell’Ottocento in Giappone: affermato scultore siciliano lui, giovanissima e raffinata pittrice nipponica lei. Nasce così un meraviglioso scambio d’amore e d’arte che dura più di mezzo secolo e che da Tokyo avrà la sua massima espressione nel capoluogo siciliano. Il mondo scultoreo del Ragusa e quello pittorico di O’Tama si fondono donando al raffinato ed elegante grafismo sintetico dell’artista giapponese il naturalismo e l’iperrealismo dell’arte occidentale, che lei arricchisce con le luci della Sicilia, con prospettive diverse e colori vividi dando unicità alle sue opere.
La presenza di O’Tama nella capitale fuse l’espressione di due mondi artistici così diversi tra loro e tanto gelosi del proprio essere. Facendoli dialogare li portò ad un livello di innovazione tale da abbattere le barriere innalzate creando un ponte tra le due culture isolane. Quella italiana si implementò di quei canoni decorativi e quella leggerezza cromatica tipiche della lontana e minacciosa arte orientale; al contempo all’arte giapponese, che prediligeva composizioni puramente decorative, diede prospettiva ed ombreggiature fino ad allora sconosciute.
L’esposizione, organizzata a Palermo dalla fondazione Federico II col patrocinio dell’Ambasciata del Giappone in Italia, dal titolo “Migrazione di stili” conta 101 opere, di cui 46 acquerelli a soggetto botanico e composizioni floreali, 6 importanti cartoni (kinkawa-gami) e 18 splendidi tessuti, alcuni dei quali documenti di un tempio buddista. In mostra anche 9 ceramiche, 14 bronzi, 2 ventagli ed un preziosissimo kimono, acquistato da Vincenzo Ragusa in Giappone per la sua collezione.
Lo splendido kimono è un kosode tipico dello “stile della corte imperiale” che veniva indossato dalle donne di alto rango della classe samurai, dipinto a mano e ricamato con fili di seta policroma e d’oro.
Oggi il palazzo Reale dei Normanni, grazie alla Fondazione Federico II, restituisce quel valore artistico culturale allora negato con il Regio decreto che aboliva i corsi giapponesi e chiudeva il “Museo d’Arte Giapponese” creato dallo scultore nella sua casa in corso Scinà, cancellando così le ostilità che hanno impedito alla città di Palermo di diventare il polo di diffusione del Giapponismo, ed ha il merito di avere messo insieme finalmente i frutti di quel lungimirante progetto.
«Quando si abbatte un muro – per citare le parole di Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione – il primo mattoncino è il più arduo da buttare giù; O’Tama riuscì a rompere gli schemi e aprì la via all’innovazione. Oggi la Fondazione Federico II vuole rendere omaggio ad una donna artista che va considerata palermitana, allorché cittadina del mondo».
A sigillo di questo sincretismo che non fu solo culturale ma che abbracciò l’intera sua esistenza, per espressa sua ultima volontà O’Tama stabilì che parte delle sue ceneri riposassero nella tomba di famiglia al cimitero dei Rotoli di Palermo, divise ed unite da quelle che riposano sul suolo giapponese.