La Costa degli Dei
Il territorio conosciuto come “corno di Calabria”, ovvero la costa tirrenica vibonese, offre non solo spiagge meravigliose e mare cristallino ma anche spettacoli paesaggistici, prelibatezze enogastronomiche, siti storico-archeologici, tradizioni contadine e artigiane assai antiche.
Quest’area della regione non a caso è denominata “Costa degli Dei”, un toponimo dovuto all’ideazione di Domenico Romano Carratelli che nel 1995, nella sua veste di Assessore regionale al turismo, la ufficializzò in una delibera della Giunta Regionale della Calabria. Una denominazione assolutamente coerente con la bellezza dei luoghi e con le suggestioni legate alla sua storia ed alle sue leggende da Ercole ad Ulisse, che naviga lungo questa costa, che comprende, da nord a sud, Pizzo Calabro, Vibo Valentia, Briatico, Zambrone, Parghelia, Tropea, Ricadi, Joppolo e Nicotera.
Il territorio si segnala per le rinomate spiagge bianche, soprattutto nella zona di Zambrone, a cui si abbracciano rocce frastagliate che creano piccole e graziose calette, in alcuni casi raggiungibili solo a piedi o in barca. Ricadi è una località che attira l’attenzione dei geologi per via del suo promontorio fatto di uno speciale granito bianco-grigio che prende l’attenzione di geologi da ogni parte del mondo; all’interno di questo Comune si trova la magnifica spiaggia di Capo Vaticano, i cui fondali sono meta di sub. La scenografia offerta da queste località è incantevole anche perché il “corno di Calabria” non è dotato solo di bellezza propria ma anche di quella proveniente dallo scenario circostante in cui primeggiano le dirimpettaie Isole Eolie: su tutte, lo Stromboli, l’isolotto-vulcano sempre presente nelle vedute di chi abiti o visiti la Costa degli Dei. È inutile descrivere a parole la suggestione che un tramonto sul Tirreno sa offrire da queste parti, a motivo degli elementi paesaggistici sin qui brevemente narrati. Senza tralasciare i centri storici, i suoi palazzi nobiliari, le sue chiese, i musei, le torri di avvistamento cinquecentesche costruite lungo tutto il tratto costiero, le aree archeologiche. Pizzo Calabro, che è il paese più a nord di questo ambito territoriale, è rinomata per la vicenda di Gioacchino Murat, che qui fu catturato, imprigionato nel locale castello e poi giustiziato; e per la sua specialità dolciaria: il tartufo-gelato che viene servito nelle decine di bar che insistono sulla piazzetta principale, una fantastica balconata stracolma di tavolini, a picco sul mare. E a proposito di specialità gastronomiche, la “Costa degli Dei” produce almeno altri due prodotti unici ed inimitabili: la cipolla rossa di Tropea e la ‘nduja di Spilinga, un insaccato spalmabile il cui assaggio, da solo, vale il prezzo del viaggio. Prodotti, questi, che nel corso degli anni hanno conquistato gradualmente dapprima il favore degli italiani per poi sbarcare sui palati internazionali, soprattutto a Londra dove la ‘nduja è già un cult. Senza dimenticare il pecorino del Monte Poro, la cui lavorazione artigianale si tramanda di generazione in generazione e risale almeno a cinque secoli orsono.
Pertanto, la Costa degli Dei, da quanto è facile dedurre, è un angolo di Mediterraneo fra i più deliziosi, seducenti, magici e stuzzicanti. Che sia la visita di 24 ore o il soggiorno di una settimana e più, il luogo sa certamente accarezzare i suoi ospiti.
Zungri
A pochi chilometri da Tropea, Capo Vaticano e Pizzo si trova Zungri, parte integrante della Costa degli Dei. Questo paese è una meta da visitare perché ospita un importante insediamento rupestre di straordinaria bellezza. Si tratta di circa cinquanta “grotte” sviluppate lungo un costone roccioso detto degli “Sbariati”, ossia “sbandati”, popolo errante. E Sbariati è anche il soprannome della famiglia a cui vennero espropriate le grotte per farle diventare ciò che oggi sono. Quelle che da sempre venivano definite “cupole con fori di areazione” erano, in realtà, dei granai. Infatti, in tutta l’area dell’insediamento erano presenti dei silos già in epoca bizantina. Su questi granai, nel Medioevo, si scavò per ottenere le cavità che appaiono oggi e che sono state brillantemente valorizzate dall’architetto Maria Caterina Pietropaolo, direttrice dell’attiguo Museo della Civiltà rupestre e contadina. Alcune grotte si articolano su due livelli e molte conservano ancora all’interno nicchie e numerosi altri elementi funzionali alle necessità del quotidiano. Purtroppo non ci sono notizie storiche certe, non esistono manoscritti o ritrovamenti che ci facciano capire la sua vera identità. La “scoperta” del sito avvenne nel 1983, quando il prof. Achille Solano, allora direttore del Museo Archeologico di Nicotera, riuscì a darne la giusta dimensione e collocazione nello spazio storico-culturale. Fu, per lui, una scoperta eccezionale che stravolse le poche nozioni storiche sulle comunità agro-pastorali medioevali della Calabria.. Un vero e proprio villaggio scavato nell’arenaria, abitato, forse, fino all’inizio del secolo scorso, riutilizzato nel periodo della guerra come rifugio dagli abitanti del luogo e poi, ancora, dai contadini come ripostigli, stalle e depositi.
Monteporo: le bellezze naturalistiche e la sua tradizione casearia
Incastonato in una singolare posizione panoramica racchiusa tra le montagne e il suggestivo versante del tirreno calabrese, il Monte Poro rappresenta un piccolo mondo a sé: silenzioso, verdeggiante, a tratti misterioso, si tratta di un luogo – in passato definito come il promontorio dei poeti, dei santi e dei pastori – che nel tempo ha saputo mantenere intatta la sua vocazione per l’agricoltura e la pastorizia, entrambe attività svolte ancora oggi avendo riguardo della terra e dei suoi ritmi. Grazie all’altitudine non molto elevata – raggiunge i 700 metri sul livello del mare – ed al clima mite, l’altopiano ha sviluppato una ricca vegetazione caratterizzata dalla piacevole alternanza di pascoli rigogliosi, filari di pioppi, vigneti ed oliveti. Chi sceglie di visitare il Monte Poro, oltre ad entrare in contatto con tradizioni e usanze di una cultura incredibilmente affascinante rimasta immutata con il succedersi delle generazioni, ha anche l’occasione di scoprire un ambiente incontaminato. È questa la patria dell’ottimo pecorino del Monte Poro, da molti considerato il migliore dell’Italia meridionale. La prima attestazione scritta della produzione di un formaggio in queste zone infatti risale al Cinquecento, quando il sacerdote Gabriele Barrio in un suo trattato parla di un buon “cascio” apprezzato in tutta Italia. Il suo sapore è un giusto connubio tra il salmastro del mare e la delicatezza delle erbe che qui crescono e con cui vengono nutrite le greggi.