*di Carlo Piano*
È una città brutta e sporca. Il suo clima impossibile, il fracasso del traffico poi è una follia. La sua competitività micidiale. Ma su un punto non ci sono dubbi: dopo essere stati a Manhattan, nessun altro luogo potrà reggere il confronto. Se vogliamo seguire i consigli di John Steinbeck e Truman Capote, non c’è posto migliore dove smarrirsi di quest’isola, che galleggia sull’acqua scura del fiume come un iceberg di diamanti. Esistono tante ottime ragioni per visitare New York, in particolare a Natale.
Molte ci illudiamo di conoscerle, perché abbiamo visto mille film, assaporato le canzoni di Frank Sinatra e Liza Minelli e sfogliato montagne di riviste patinate. Eppure, c’è ancora tanto da scoprire nelle pagine del giornalista e blogger Alberto Bruzzone, che ha appena pubblicato New York Tales: un viaggio nella città che i turisti non conoscono (edito da Internòs, 165 pagine, euro 15). Questo libro non è una scontata guida alla metropoli dove il sonno è inutile, piuttosto un atto d’amore nei suoi confronti che ne cancella l’immagine stereotipata, sostituendola con quella originale e veritiera. Anche se la verità è diversa per ognuno di noi. Scrive l’autore, genovese come Cristoforo Colombo: «Qui in una sola strada senti parlare cinque lingue, avverti i profumi di sei culture, ascolti sette tipi di musica, vedi centinaia di persone, ti si parano davanti uomini di tutte le razze e di tutti i colori».
Tra le storie segrete scoperte e raccontate da Bruzzone, una riguarda lo sfavillante albero di Natale, che torreggia nel centro di Rockefeller Plaza, davanti alla celeberrima pista di pattinaggio sul ghiaccio. Ebbene, ad avere l’idea fu un gruppo di carpentieri italiani che lavorava alla costruzione del grattacielo. La sera del 24 dicembre del 1931 un capocantiere di Avellino (di cui ignoriamo il nome) decise di portare un abete in mezzo alla piazza per abbellirla: tutti insieme gli operai spazzarono la spianata, issarono l’albero e poi, montando sulle scale dai quattro lati, iniziarono a decorarlo. Non disponevano di ghirlande, palline e neppure di lucine colorate. Così usarono quelle che avevano sottomano in cantiere: appesero ai rami le latte vuote di vernice, gli imbraghi divennero dei fiocchi, la stagnola con cui fasciavano l’esplosivo per sbancare la terra si trasformò in festoni sgargianti.
Quindi se oggi al Rockfeller Center brilla un albero che più brillante non c’è, è perché tanti anni fa un gruppo di irpini decise che era troppo presto per andare a casa e che in quel luogo spoglio mancava un tocco di bellezza. Non c’è solo l’abete più famoso al mondo (che quest’anno sarà alto 25 metri e addobbato con otto chilometri di luci) a riempire di festa l’atmosfera di New York. I mercatini di Natale sono sparsi tra Seaport District, Union Square e il Winter Village di Bryant Park. Le vetrine sulla Fifth Avenue abbagliano i passanti, anche i più distratti. Le migliori? Secondo i newyorkesi quelle di Lord&Tailor, Saks Fifth Avenue e non può mancare Tiffany’s. E Macy’s ovviamente, che dedica al Natale l’intero piano di Santaland. Ci sono poi gli spettacoli di Broadway. Oltre ai musical in calendario, in questi giorni tornano come da tradizione due grandi classici: il Radio City Christmas Spectacular e lo o Schiaccianoci di Tschaikovsky, con coreografia di George Balanchine e interpretato dal New York City Ballet, uno dei corpi di ballo più importanti al mondo. Ma a incantare sono anche decorazioni e luminarie. Le più stravaganti si trovano a Brooklyn, nel quartiere di Dyker Heights, dove i residenti fanno a gara a chi esagera di più trasformando case e strade in castelli di luce.
Si parla di Brooklyn e anche in questo caso una preziosa storia di Bruzzone ci svela un segreto: il ponte che tutti conosciamo, quello ritratto anche sui pacchetti delle gomme da masticare, è stato terminato da una donna, l’ingegnere Emily Warren. Prese in mano il progetto dopo che il marito Washington Roebling, anch’egli ingegnere, venne colpito da un’embolia durante un’immersione nell’East River per costruire le fondamenta dei piloni. Emily si mise coraggiosamente a capo di seicento operai, portando a compimento quel capolavoro che si chiama Brooklyn Bridge che collega i due principali borough di New York. Fu lei la prima, nel 1883, a camminare sopra il suo ponte il giorno dell’inaugurazione, mentre il sindaco celebrava «un monumento eterno alla devozione sacrificale di una donna e alle sue capacità».
Dopo Emily lo attraversarono Jumbo e i suoi venti amici elefanti, sette tonnellate di stazza ciascuno: erano stati presi in prestito dal circo e assunti per fare le prove di carico dell’impalcato. New York Tales è un caleidoscopio di scoperte, luoghi e personaggi. Come Birdsill Holly, geniale inventore degli idranti e del teleriscaldamento che ancora oggi ammansisce il gelo dell’inverno newyorkese; come Joseph Gayetty che dalla sua casa di Ann Street ci ha regalato una grande idea: la carta igienica in rotolo. Come ancora Milton Glaser, il designer che ha concepito il logo I Love New York con il cuore rosso, o il signor Karl Pfizer che, assieme al cugino pasticcere specializzato nel rendere meno amare le pillole, fondò a Williamsburg l’azienda farmaceutica. Quella che sta vaccinando il mondo intero contro la pandemia da coronavirus.