Metafisica e filosofia a confronto sulle tele di Francesco Paziente

Anima silente e sfacciata di questa società

di Angela Ippolito

 

“Creare è dare forma al proprio destino”, recita la citazione di Albert Camus, filosofo e letterato francese che ha accompagnato e tuttora  accompagna l’esistenza  e l’arte di un artista completo e di grande sensibilità, Francesco Paziente.  L’aforisma rimanda al divario camussiano tra il mondo e l’uomo e permette testé la palese riflessione sul dramma di quest’ultimo, gettato nel mondo senza capacità e possibilità di affrontarlo, perché  gravato dal peso della rubesta solitudine e della plumbea indifferenza sociale, che sottolinea la prometeica e primèva angoscia di non potersi misurare, sino a divenire addirittura estraneo a se stesso.

La coscienza esistenzialistica di Camus ben si confà alla lirica di questo artista, figlio del primissimo dopoguerra e di una Sicilia pirandelliana, che presto affonderà la sua identità professionale nella scuola italiana come dirigente scolastico a Livorno, dove vive e opera, ma che troverà conforto al disagio di cui sopra, solo attraverso le essenziali cromie nelle campiture della sua incoercibile poetica. L’insoddisfazione come spasa condizione umana, rappresenta la sindrome che determina in lui un’impasse da sobranzare esclusivamente con la speranza e con la solidarietà, arterie indispensabili a snodare l’assurdità della vita.

Francesco Paziente é l’inconcusso padrone di un linguaggio artistico laconico e sublime, padrone dell’eleganza del suo impareggiabile stile che diviene vocazione e assieme viatico. Le sue opere metafisiche ricongiungono l’uomo all’Immenso, ricongiungono il solitario protagonista agli affetti di un’onirica natura e di una sostanziale realtà: una necessaria ed intensa mitosi espressa in pochi e decisivi tratti che costringono all’analisi, all’esame, al raccoglimento e alla riflessione, sciente riverbero di un’apicale disamina del nostro più intimo ‘essere’ all’interno del mondo. Le sapienti linee sono accompagnate, con abile maestria e perizia, da brillanti cromie, interrotte – all’occorrenza – da cupe, misteriose ed incombenti presenze che mai abbandonano la scena. Entità ultraterrene, spettri del passato o forse un inconscio, pressante alter ego che, tuttavia, non inibiscono la nascita di una plantula o di un germoglio rosso vermiglio assetato di stimoli per il suo voler divenire un sano arbusto e che, per natura, completerà il suo ciclo vitale in una crescita felice e pronta anche alle intemperie.

 

 

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