IL VIAGGIO
Madrid
L’aereo partito da Lamezia Terme poco meno di tre ore prima, è già sui cieli di Madrid. Sono emozionato. Dall’oblò intravedo la grande pianura ondulata della Meseta, col suo tipico colore rossiccio che diventa via via giallognolo quanto più la grande capitale spagnola si avvicina alla mia vista. E in effetti… eccola! Il colore della terra lascia spazio all’agglomerato urbano che diventa sempre più visibile nei suoi dettagli. È bellissimo.
Alle 9.35 sono a terra. Il suadente accento spagnolo, nel via vai di gente che con passo svelto si confonde all’interno dell’aeroporto Barajas, improvvisamente mi avvolge. Anzi, mi accarezza: sì, perché la cantilena castigliana è una dolcezza per le mie orecchie, una lusinga. E così mi sento già spagnolo anch’io.
Il taxi percorre in poco meno di venti minuti il tragitto che mi separa dall’appartamento che ho prenotato su internet. Improvviso con il tassista una discussione nella sua lingua, aggiungendo la classica “s” alla fine di ogni parola italiana, immaginando che questo espediente mi rappresenti come un conoscitore dell’idioma ispanico. Ovviamente non è così, e difatti nel taxi si odono risatine. Ma va bene lo stesso: in fondo non è difficile comprendersi tra italiani e spagnoli.
Approfitto avidamente di quel breve tragitto in auto per carpire subito qualcosa del paesaggio madrileno ed una cosa mi salta subito agli occhi: il decoro delle strade e delle aiuole. Mi chiedo se sarà così anche in città.
Raggiungo, attorno alle undici di una calda mattina, la mia destinazione sita nel cuore del cuore di Madrid: Puerta del Sol. Il taxi si ferma proprio sotto il monumento simbolo della città, la famosa statua dell’orso e del corbezzolo, elementi raffigurati anche nella bandiera della capitale iberica. Voglio subito scattare una foto. La piazza è stupenda, elegante, calda, ordinata. E anche un po’ vintage con quell’enorme insegna al neon di Tio Pepe, il famoso sherry, che mi guarda dall’alto della sua ubicazione sul tetto del civico 11. Mi accorgo di avere ancora la valigia in mano, devo ancora sistemarmi nell’appartamento, ma è come se fossi bloccato, rapito da una città che mi appare bella.
Devo confessarlo: sono partito per Madrid perché ho voluto profittare di un volo molto conveniente, dove però il volo di ritorno cadeva una settimana dopo. Mi sono chiesto: cosa c’è da fare a Madrid, sette giorni, oltre a visitare i suoi famosi musei?
Il mio primo giorno iberico è dunque avvolto da questo ingiustificato pregiudizio. Subito dissolto quando arriva la cinco de la tarde e già si capisce e si prefigura la vitalità che sta per circondarmi, la cui carica irrefrenabile giunge da ogni strada.
Non ho mai visto tanti bar e tanti locali come a Madrid. Qui le serate sono leggendarie. Tanto per gradire, e poiché amo immergermi nell’atmosfera dei luoghi che visito (io lo definisco… turismo totale) mangio una tortilla de patatas e me l’accompagno con una freschissima cerveza. L’appartamento che ho fittato per il soggiorno si rivela da subito l’idea più azzeccata: posso raggiungere qualsiasi angolo della capitale a piedi, e proprio nelle adiacenze di Puerta del Sol si trovano i barrios più caratteristici: Sol, Santa Ana, Huertas sono pieni di gente fino a tardi, si beve un po’ di sangria, si ascolta musica, si assiste a qualche spettacolino nelle piazzette. Da queste parti scopro casualmente il Cafè Central, magnifico tempio del jazz reputato il numero uno in Spagna. E intanto si è fatto davvero tardi; ma come diceva Hemingway “a Madrid nessuno va a dormire finché non si è uccisa la notte”.
Nei giorni seguenti, e rigorosamente a piedi, scopro sempre meglio questa meravigliosa capitale imperiale e, pianificando le cose da vedere, comincio a realizzare che… sette giorni non mi basteranno! Così non perdo tempo ed inizio dai Musei: precisamente non so nemmeno quanti ce ne siano. Inizio a visitare il Prado, o per meglio dire, i suoi pezzi forti: “Las Meninas” di Velazquez, qualcosa di Botticelli, Goya e Raffaello. Molto interessante anche il Museo Reina Sofia, celebre per “La Guernica” di Picasso, ma anche per i capolavori di Dalì e Mirò. Enorme anche il Museo Thyssen- Bornemisza con i suoi pezzi forti del Caravaggio, Van Gogh e Gaugin; ma, inaspettatamente, ad una parete trovo appeso un po’ della mia terra: è “Il Concerto” di Mattia Preti. E mi emoziono un’altra volta.
Le giornate trascorrono veloci, e una parte imprescindibile di questo viaggio è rappresentata dalla gastronomia: in ogni dove si può mangiare bene, ma è soprattutto nel quartiere La Latina che trionfano i locali, specialmente alla Calle de la Cava Baja dove mi attardo tra le tapas nella deliziosissima osteria La Perejila.
Madrid mi ha preso davvero, per la gola e non solo. Pur non avendo un monumento importante con cui identificarsi, come succede per Roma, Londra o Parigi, ha edifici così imponenti, eccellentemente mantenuti e curati ed esteticamente prestigiosi che nell’insieme costituiscono un monumento diffuso. Credo davvero che l’architettura di Madrid ne sia l’elemento caratterizzante. Esistono ovviamente luoghi-simbolo: il Palacio Real, l’edificio Metropolis, il mercato di San Miguel, il Teatro. Ottimamente curato anche il Parco del Buen Retiro. Ottengo conferma alla mia impressione iniziale: qui il decoro è davvero un totem.
Senza accorgermene, la settimana madrilena volge al termine e mi accorgo che sulla mia lista di cose da fare manca ancora tanto! Ma si può andar via da qui senza entrare in un tablao per ammirare il flamenco? Così la sera mi butto nel rinomato Villa Rosa, che si conferma essere lo spettacolo di colori e ritmo che mi avevano annunciato e che le parole di Garcia Lorca avevano ben descritto: “Ciò che avviene in questi artisti è un qualcosa di nuovo che nulla ha a che vedere con quanto esisteva prima: succede che viene immesso sangue vivo in corpi vuoti d’ogni espressione”.
La domenica mattina mi informano che si tiene El Rastro, un mercato delle pulci allestito ogni anno da quattrocento anni: c’è una marea di gente e di questa marea decido di farne parte anch’io, curioso di sbirciare tra le bancarelle. Al rientro non posso rinunciare alla storica Chocolateria di San Gines, mentre la sera preferisco il ristorante Casa Labra, rinomato, meritatamente, per le sue frittelle di baccalà. Un vermuth chiude quest’altra magnifica serata pensando a quella successiva. Ma… quella successiva è già la giornata del rientro e mi coglie un pizzico di malinconia per dover lasciare un pezzetto del mio cuore tra i vicoletti dei barrios. Avverto davvero tristezza perché ormai mi sento un po’ madrileno, tanto mi sono piaciuti questo popolo, queste strade, questo cielo.
Mi avvicino alla statua dell’orso e del corbezzolo per prendere il taxi in direzione aeroporto. Il tassista si accorge del mio stato d’animo e gli confido di essermi innamorato di quella città che sto salutando. Arriviamo all’aeroporto, lo pago e intuisco che vuole dirmi qualcosa, ma sono già sceso dall’auto e ho la valigia in mano. Mentre lo ringrazio, lui con tono cordiale mi ricorda un modo di dire di questa città accogliente: “Se sei a Madrid, sei di Madrid”.
Marco Viatoris