di Bruno Pisani
“Nulla viene dimenticato più lentamente di un’offesa”
Chi ricorre all’offesa assume un atteggiamento grave con cui tenta di sopraffare e cancellare la voce e la dignità dell’altro. Spesso è una persona che avendo una ferita profonda nella propria storia, riversa odio e rabbia attorno a sé. Non riesce a mettere mano alle proprie fratture per avere una vita più tranquilla.
Chi ha un giudizio negativo di sé, chi è profondamente insoddisfatto della propria vita, sarà più portato a cercare di prevalere sugli altri utilizzando offese ed insulti, sempre in fuga dal suo passato che dovrebbe invece rivivere e superare. L’offesa non esaurendosi subito, è una porta che si apre, è incominciare una strada che non ha sbocco e che rompe il senso di appartenenza alla comunità.
La vita ci racconta che la pace è possibile solo a prezzo di una discesa nel proprio dolore rimosso. La rabbia non presa in carico è acqua torrenziale, se viene invece affrontata e vissuta si trasforma in acqua per la vita. I piccoli insulti diventano col tempo grossi insulti, da qui la pericolosità nel cercare di squalificare e mettere da parte l’altro, rimanendo intrappolati nell’invidia che turba il percorso e il futuro di una persona.
Per questo motivo non bisogna rimanere impelagati, avvitati su se stessi ma, guardando oltre gli egoismi, riconoscere i bisogni dell’altro.
Cosa c’è dentro quel: “Sei un….”? E cosa freme dentro chi viene insultato? È interessante notare come le parti in conflitto spesso affermano: “In fondo sono solo parole. Che cosa è mai una parola?”.
Tuttavia la parola che costituisce l’insulto è una bassezza morale usato come ultimo stratagemma per vincere una disputa in cui le nostre argomentazioni si sono mostrate fallaci. Domandiamoci allora: “Come insulto io? Quando stacco l’altro dal mio cuore con un insulto?”.
Lì bisogna riscoprire quella radice amara che mi porta a sopraffare l’altro.
“Se hai sentito un insulto è come il vento ; se sei adirato, ecco la tempesta e corre pericolo il tuo cuore” (S.Agostino).
Dopo un insulto dipende da noi se sentirsi indignati o trovare una soluzione costruttiva, ossia vivere senza rabbia e desiderio di vendetta abbandonando il ruolo della vittima e il convincimento che gli altri abbiano più potere e forza.Sentirsi mortalmente feriti può dipendere anche dal fatto che l’offesa di oggi ha riaperto vecchie piaghe del passato, sicché ogni provocazione analoga ci ferisce particolarmente. In questo modo l’interlocutore viene percepito come il rappresentante di tutte le persone che ci hanno fatto torto in passato. A volte può capitare che siate voi ad offendere e la reazione di chi si sente ferito può provocarvi sentimenti analoghi ai suoi. La cosa migliore è allontanarsi un po’ usando il distacco per capire che cosa abbia ferito l’interlocutore e in che misura siete responsabili.
Nelle situazioni di offesa la soddisfazione delle esigenze narcisistiche, l’essere cioè guardati, ascoltati, riconosciuti, capiti e tenuti in considerazione, svolge un ruolo centrale. Un modo per bloccare le reazioni di offesa sta dunque nel “circoscrivere attivamente ciò che può saziarvi” (magari mettendolo nero su bianco). Verificate anche che la considerazione di voi stessi non sia particolarmente bassa, perché “i soggetti che già in partenza hanno un’autostima indebolita sono più inclini a offendersi”.
Nelle relazioni di coppia, molte offese scaturiscono dai problemi di distanza e di vicinanza, dal rapporto cioè tra desiderio di attaccamento e paura della dipendenza, tra desiderio di autonomia e paura dell’abbandono. Il fatto è che è più facile attribuirsi solo uno dei due poli, scaricando sul partner l’altro (ad esempio la paura dell’abbandono): questa divisione dei compiti, però, provoca una serie di conflitti e di possibili offese che si possono evitare facendosi carico anche dell’altro polo e quindi diventando consapevoli della propria ambivalenza.
Amare è il primo passo per non ferire; e non ferire è il primo passo per amare.
Ridere non deridere, condividere non dividere, parlare non sparlare. A volte basta una sillaba per fare la differenza tra eleganza e volgarità.