di Fabio Lagonia
Abbiamo lasciato alle spalle il periodo di isolamento cui siamo stati costretti da eventi inattesi, e la naturale socievolezza dell’uomo di cui già ci parlava Aristotele è stata messa alla prova dal distanziamento sociale. Tuttavia, in quella limitazione, si può rintracciare un nuovo stimolo e un modo nuovo di vedere le cose da una prospettiva inconsueta. È un po’ quello che ci trasmette L’Infinito, i cui versi, da oltre duecento anni, ispirano a guardare oltre la solitudine e oltre la siepe. Se ci facciamo caso, quella leopardiana è un’idea straordinaria: il limite di un momento o di una condizione può suscitare l’immaginazione e la creatività, fino a condurci verso spazi infiniti. Se una siepe diviene sprone e incentivo, a maggior ragione può esserlo uno spazio aperto come il cielo o come il mare. Chissà quante volte, passeggiando nella solitudine del monte Tabor di Recanati, oltre alla “graziosa luna” il giovane Leopardi avrà visto in lontananza il suo mare, con i suoi confini invisibili, con la sua immensità in cui “far annegare il pensiero”.
A volte, laddove il nostro sguardo non riesce a posarsi, può arrivare quello interiore, che diviene inno alla forza dell’immaginazione di cui il “naufragar m’è dolce in questo mare” rappresenta un simbolo efficace e potentissimo. Persino la fotografia, che per sua essenza tecnica ferma l’attimo e il movimento, riesce a fare avvertire il moto interiore del mare pur nell’apparente staticità di un’immagine. Ci avevate fatto caso?