L’altopiano ibleo Alla scoperta di storie antiche, siti rupestri e barocco

di Angela Ippolito

 

La Sicilia rappresenta da sempre una meta ambita per vacanze di ogni genere perché sposa e soddisfa appieno ogni necessario requisito per un viaggio oltremodo interessante. Una terra fascinosa ed intrigante, che può vantare un’apicale commistione di arti e culture che definiscono un insieme tanto unico quanto eclettico. A dispetto delle celeberrime mete, assai ricercate e di successo, la cuspide a sud-est dell’isola riserva un angolo edenico, ancora poco noto ai più. Dominata dai Monti Iblei, un altopiano montuoso tra i quali svetta il Monte Lauro, e bagnata dal Mediterraneo, abbraccia le province di Siracusa e Ragusa e le Piane di Catania e di Gela.

Gli Iblei erano, in origine, un complesso vulcanico sotterraneo ben più antico dell’Etna, la cui attività eruttiva è testimoniata dalla roccia magmatica scura depositata nell’area nord-orientale dell’altopiano. Le zone costiere, invece, presentano una roccia sedimentaria più recente, denominata la pietra bianca di Siracusa. L’altopiano della provincia ragusana offre un altro tipo di pietra, chiamata “pietra pece” a causa del suo colore scuro. La natura calcareo-marnosa del massiccio, la maturità del fenomeno di erosione-corrosione causata dal carsismo, e la forma sub-circolare del plateau, rendono questo altopiano assai interessante dal punto di vista geomorfologico. Le propaggini iblee si diramano a raggiera degradando dolcemente; fiumi e torrenti incidono e scavano meandri, forre e gole definite localmente Cave o Canyon per la loro assimilabilità a quelli americani: famoso quello di Cavagrande del Cassibile; antiche condotte freatiche fossili ed atavici antri tutelano lo spettacolo ottenuto dalla danza di stalattiti e stalagmiti, come la “Grotta Monello” comprova. Un altopiano felicemente tormentato da convessità, “Cozzi” o “Cugni”, addolcite da concavità, le valli, come quella d’Anapo, che regalano un’estrema varietà di forme e sottotipi e ospitano una lussureggiante vegetazione: boschi di leccio delimitati dai tipici muri a secco si alternano a boschi di macchia mediterranea, su colline terrazzate rivestite da olivi e carrubi antichissimi, da vigneti ambrosi e agrumeti odorosi. Ma questi colorati panorami hanno anche ospitato affascinanti storie e racconti mitologici che rendono ancora più interessante l’area tutta. Pare che la denominazione si debba al Re Hyblon, citato addirittura da Tucidide nel racconto storico sulla nascita delle colonie greche e di cui si canta ancora oggi la generosità. Il nome è stato adottato con successo anche nella versione femminile “Ibla”, sino a divenire un etnonimo, tra i più diffusi, per i vari siti protostorici. Un appellativo che contiene in sé il concetto dell’ubertosa bellezza di questi scenari e il melleo profumo di fiori  da cui deriva un miele molto saporito ed abbondante. Ciò ha facilmente ispirato l’estro di aedi e rapsodi che qui  hanno propagato l’opera della dea Cibele, la Grande Madre, protettrice delle messi, della fertilità e della Primavera, identificata a volte con Demetra, altre con Flora ed altre ancora con Venere, musa indiscussa da ben 2500 anni per bellezza e fecondità. Il miele ibleo, arricchito dalle note del timo, è citato da altrettanti anni ed è uno dei più noti e celebrati al mondo, già in epoca greca ma ancor più in epoca romana, sino a giungere ai nostri giorni.  Sciascia ne scriveva : «… i nostri maggiori, vedevano nelle nicchie sepolcrali esistenti in molte rupi volte a mezzogiorno delle nostre valli, dei naturali alveari dai quali scorreva  profluvio di miele… tuttora però non mancano sciami errabondi…».  I sudditi di Re Iblone, di fatti, per aver scavato le loro nicchie nell’alta parete rocciosa e in forma verticale, sono stati addirittura definiti “il popolo delle api”. L’ape mellifera diviene ben presto simbolo di Ibla, tanto da esserne l’effige sulla moneta e da attirare letterati italiani del calibro di Foscolo e D’Annunzio ed esteri come Shakespeare e Collins. Oggi è riconosciuto come prodotto P.A.T. e si produce nel siracusano, nel catanese e nel ragusano, ed oltre al miele di timo si produce anche quello di cardo, zagara, carrubo ed eucalyptus in base al periodo dell’anno. Un prodotto pregiato il miele di timo che, però, da alcuni anni risulta raro da reperire  a causa della riduzione dei campi di timo e quindi del nettare dei fiori che le api vanno a bottinare. Ibla è sinonimo di produttività, dunque è doveroso menzionare le gustose specialità della tradizione culinaria epicoria che ne esprime tutta la deliziosa varietà: le “scacce”, tipici rustici ripieni di condimenti vari; il cioccolato di Modica; le “Teste di Turco” di Scicli (detto il “dolce dei vinti” per il quale si organizzano sagre specifiche); i “cubbaita”  (dolce al sesamo);  le “Mpanatigghie”, dolci con ripieno di cioccolato, mandorle e carne di vitello;  le “Macallè” o cartocci, golosi cannoli fritti ripieni di ricotta di pecora; le Cassate di Pasqua e i “Pastizzi” salati.

Le numerose arti e tradizioni popolari locali, legate al sacro e al profano, gli antichi mestieri e le attività artigianali, hanno dato vita ad un’altra pregevole iniziativa del territorio: il Museo etnografico. Veicolo di cultura folk e contadina, esso garantisce la custodia nonché la presentazione di strumenti,tecniche e costumi di un passato che ha rischiato e rischia di essere travolto insabbiato dai naturali progressi dell’industrializzazione della società moderna. Encomiabile l’attività svolta da Antonino Uccello che a Palazzolo Acreide ha realizzato la “casa-museo”, ma oggi ve ne sono, fortunatamente molti altri ancora. Le molteplici attività antropiche, succedutesi nel corso dei secoli, hanno ben sposato gli autentici capolavori naturali per diventare testimoni concreti di un reale “paesaggio culturale” di entità materiale e immateriale ed in continua evoluzione. Un equilibrio che necessita di protezione e valorizzazione per un’altrettanto prodigiosa ricchezza di arte e storia che abita siti archeologici millenari e straordinarie architetture seriori, sette-ottocentesche. L’UNESCO ne ha difatti riconosciuto a livello internazionale la mirabile rilevanza, nominando ben due siti nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità: Siracusa e la necropoli rupestre di Pantalica (2005), e le città tardo-barocche nella Val di Noto (2002). Quest’ultimo è un patrimonio di assoluto rispetto che parte dall’incanto delle nove chiesette di Ragusa Ibla, passando per la pittoresca Modica con la sua Chiesa di San Giorgio, capolavoro assoluto considerato da molti il simbolo indiscusso del barocco in Sicilia, senza dimenticare Scicli e i suoi eleganti edifici, Palazzolo Acreide e certamente Noto, dominata dalla celeberrima Cattedrale di San Nicolò, custode delle spoglie mortali di San Corrado Confalonieri, oggi Basilica Minore. Palazzolo Acreide è anche onorato custode di un’imperdibile “Annunciazione” dell’honorabilis magister Antonius de Antonio, ovvero Antonello da Messina, realizzata per la Chiesa dell’Annunziata di Palacioli. Un dipinto di “7 palmi” (m 1,75) su tavola dorata e la cui predella doveva contenere decori, foglie e le “armi” (insegne) della famiglia committente. Oggi il capolavoro, d’ispirazione fiamminga, si può ammirare nel Museo di Palazzo Bellomo a Siracusa,  mentre nella Cappella del Crocifisso della Cattedrale si trova la tavola di San Zosimo, attribuita sempre al maestro. L‘honorabilis magister non è l’unica esimia personalità a regalare prestigio al luogo: un latitante d’eccellenza sbarcò su questi  lidi nel 1608: Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Forse fu a Pozzallo o, con più probabilità, nello scaro di Scaglitti (Contea di Modica) ma è noto lo attendessero il suo amico Minniti, pittore locale, e il suo committente, certi dell’immunità per il “prosecutore”. Il Merisi ha così dato vita ad una feconda attività artistica di cui nel territorio restano indelebili tracce. Il “Seppellimento di Santa Lucia” si trova ancor oggi sull’altare maggiore della Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, a Siracusa: una tela dai toni caldi e pacati, propri delle latomie siracusane la cui scena è teatro e catacomba. Probabilmente fu ispirato dalla Latomia del Paradiso, sotto il Teatro Greco, ospite del celebre “Orecchio di Dionisio” (espressione leggendariamente attribuita proprio al Caravaggio). Si dice che  il tiranno Dionisio trasformasse in prigioni le latomie già estratte e che quella del Paradiso fosse dotata di una particolare eco, fino ad amplificare il suono per ben 16 volte, svelando segreti e congiure al tiranno. Ciò rappresenta una vera attrazione per il nuovo turismo che di recente si sta appassionando in maniera ragguardevole all’habitat rupestre, costituito da necropoli protostoriche su cui sono stati finalmente accesi i riflettori.

Il connubio tra il fascino paesaggistico e l’eccellenza delle arti registra algoritmi di elevata identità, rendendo la Sicilia regina indiscussa di itinerari turistici tra i più considerevoli del proponibile.

Archeologia rupestre nel territorio di Siracusa

L’ultimo volume di una trilogia sul patrimonio della cuspide sud-orientale della Sicilia dell’età tardo-antica e medievale

 

La primèva tradizione di abitare le solide grotte è legata alla perspicua necessità di difendersi dagli attacchi di animali e dalle aggressioni nemiche e risale qui a popolazioni antecedenti ai Siculi, che sceglievano accuratamente cave impervie a strapiombo sulle sottostanti valli  ove scorresse un corso d’acqua, per il necessario approvvigionamento. Grotta del Conzo e Grotta della Chiusazza custodiscono i più importanti reperti archeologici dell’età del Rame. In epoca greco-romana i siti rupestri ipogei avevano finalità religiose atte ad omaggiare le divinità del sistema politeistico del tempo: molto noto il sito “I Santoni” di Akrai dedicato alla Dea Cibele: il “magico ” ha da sempre scelto i luoghi solitari per porsi a diretto contatto con la natura e il divino. Tra questi antri si trovano anche resti di cenobi comunitari che i monaci cristiani istituirono cercando l’isolamento ascetico, oltre ad eremi solitari, e scavando imponenti complessi monastici come San Pietro di Buscemi o Santa, Lucia di Mendola, spesso a danno delle precedenti catacombe paleocristiane. In seguito le chiese rupestri furono affrescate con immagini di Santi, Madonna e Cristo anche con tratti somatici tipicamente orientali, come nella Grotta dei Santi in contrada Pianette. Il dott. Santino Alessandro Cugno, funzionario archeologo presso il MIBACT a Roma, si sta egregiamente occupando del territorio, riservando una particolare attenzione a Canicattini Bagni e pubblicando opere di prestigio che regalano un quadro aggiornato dei diversi paesaggi storici iblei, interpretando anche la già presente bibliografia inerente.  Archeologia rupestre nel territorio di Siracusa (BritishArcheological Reports, Oxford-2020) è l’ultimo di un’interessante trilogia. Il volume ha il pregio di contenere la brillante e puntuale rielaborazione di una serie di saggi sul patrimonio d’epoca tardo-antica e medievale inerente la cuspide Sud orientale della Sicilia con pregnanti aggiornamenti e inediti contributi, attestanti come l’attività scientifica sia in costante divenire e si nutra di imperiture ricerche ed indagini autoptiche sul comprensorio ibleo, ancora esplorato solo parzialmente. Le innumerevoli cavità artificiali e gli anfratti di natura antropica, costituiscono un cospicuo florilegio storico-archeologico, che abbraccia varie epoche e che consente di ricavare dati importanti sui sistemi abitativi dell’habitat rupestre, analogamente agli insediamenti tradizionali, con edifici costruiti sub divo. È quindi possibile discernere ambienti domestici, privati o comunitari, necropoli, luoghi di culto, aree adibite a ricovero per gli animali, magazzini, infrastrutture destinate alla lavorazione dei prodotti agricoli e delle materie prime, sistemi per l’approvvigionamento idrico e viabilità interna. Aldo Messina, Giuseppe Agnello e Paolo Orsi hanno intrapreso pionieristici lavori, atti a far emergere le peculiarità di tale sistema nell’area iblea. Ma questo volume restituisce meritato nitore a tematiche archeologiche ancora oggi poco note o trascurate dalla bibliografia specialistica, oltre ad essere corredato da una preziosa quanto inedita documentazione grafica e fotografica.

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