Un saggio di recente pubblicazione ne ripercorre lo scenario storico, esaltando il valore dei combattenti e il prestigio ottenuto dall’Italia in tutte le Corti d’Europa
di Fabio Lagonia
Saverio Abenavoli Montebianco è un medico molto noto nell’ambito dell’epatologia e delle malattie infettive, nonché docente universitario fino al 2009. Ma è anche un appassionato conoscitore dell’affascinante epopea dei Normanni, che studia con acribia da oltre mezzo secolo offrendo ai lettori varie pubblicazioni, frutto di ricerca e analisi delle fonti soprattutto in relazione alla loro presenza nel Mezzogiorno d’Italia dove la “civilisation normande” creò una nuova civiltà, una “koinè mediterranea” capace di coniugare armoniosamente il sapere umanistico occidentale con quello orientale. Una sintesi tra Nord e Sud e al contempo tra Est ed Ovest, tra saggezza latina e misticismo bizantino.
La Disfida di Barletta è solo l’ultima fatica storico-letteraria del prof. Abenavoli, pubblicata recentemente per i tipi della Rondine Edizioni: come si evince dal titolo, e ancora di più dal sottotitolo – Il normanno Ludovico Abenavoli, uno dei tredici campioni italiani della Disfida –, l’opera è focalizzata su uno degli eventi storici massimamente rappresentativi del valore italico e dello spirito cavalleresco, al punto d’essere divenuto un pilastro fondativo dell’identità nazionale, non a caso assurto a modello durante il periodo risorgimentale nel XIX secolo.
Da sempre reputata e celebrata come un grande avvenimento nazionale, tutt’oggi la Disfida è degna di notevole ammirazione. Infatti è certamente una delle ultime e splendide prove messe in campo dalla Cavalleria ormai morente: gli ideali e lo spirito del mito cavalleresco del miles Christi, protettore della fede, dei deboli e degli oppressi, erano ormai costretti a cedere il passo al cambiamento dei tempi, caratterizzati dall’incalzare di interessi più reali e pressanti. I continui e repentini mutamenti di fronte e di pensiero, la notevole cupidigia senza onore e rancore, che ormai infiltravano come un cancro la società, nonché la rivoluzione copernicana rappresentata dall’introduzione delle armi da fuoco che sterminavano i combattenti senza distinzione di valore e di grado, di buoni e cattivi, fecero poi il resto. Ma immutato è rimasto l’alone di leggenda che avvolge quei tredici cavalieri, le cui gesta hanno attraversato imperturbabilmente cinque secoli, da quel 13 febbraio 1503 nel corso della guerra tra Francesi e Spagnoli per il possesso del Regno Napoletano. Erano tempi in cui gli italiani, non avendo una patria da difendere, esercitavano le proprie virtù ed esprimevano il proprio valore a servizio dello straniero, in vista di un riscatto agognato che prima o poi avrebbe dovuto premiare gli eroici combattenti e restituire dignità ad un intero popolo. La vittoria dei tredici cavalieri italiani su quelli francesi mandò in visibilio l’Italia intera, ebbe ovunque un’eco formidabile, arrivò dentro le Corti di tutta Europa e consegnò l’impresa agli annali col sigillo delle qualità più eroiche e valorose. Nella narrazione che se ne fece da quel momento in poi, centrale fu l’elemento del risveglio anche culturale in direzione dell’auspicata, ancorché di là da venire, unità nazionale. Ecco la ragione per la quale il Risorgimento fece e vide nella Disfida un vero e proprio totem .
Uno di quei tredici cavalieri italiani risponde al nome di Ludovico Abenavoli e gran parte del saggio La Disfida di Barletta è incentrata sulla figura di questo valoroso combattente. Se non si fosse già capito, l’autore di questa bella pubblicazione è un discendente diretto di quell’eroe, ciò che conferisce maggior fascino alla narrazione di un avvenimento storico che, sebbene “distante” 507 anni, si fa improvvisamente prossimo a tutti noi proprio a motivo della linea genealogica diretta che unisce quel fatto avvenuto nel XVI secolo alla penna competente e pertinente del suo scrittore odierno, per essere così offerto alla lettura privilegiata degli appassionati alla materia, e non solo.