di Daniela Rabia
“La Calabria silente” di Filippo Veltri
“I libri non sono fatti per crederci, ma per essere sottoposti a indagine” scriveva Umberto Eco nel suo capolavoro Il nome della rosa, vincitore del Premio Strega nel 1981. Eppure, come non credere alle parole di Filippo Veltri, giornalista professionista e scrittore attento e poliedrico, nel suo ultimo lavoro La Calabria silente, edito Rubbettino. Il silenzio assordante a cui l’autore fa riferimento nel testo è cosa incredibile a cui dover credere. Di incredibile c’è il fatto che sembra che la Calabria non appartenga e non sia mai appartenuta ai calabresi. Da qui il tradimento evocato da Gioacchino Criaco a questa terra “messa sotto i piedi” dai suoi stessi abitanti. Da qui l’ignavia, la noncuranza, l’assenteismo, il non fare. “La Calabria non riesce a esprimere una propria oggettività e un’etica del fare” sottolinea Veltri con le parole di Vito Teti che, dopo l’avvio delle manifestazioni di Matera capitale europea della cultura si domanda “perché quest’occasione non sia stata colta nella sua Calabria”. In un atteggiamento, però, i calabresi non sono affatto silenti: in quello del lamento costante. Un lamento rumoroso, fastidioso, ossessivo e quanto mai ingiustificato. Scriveva il sommo poeta Dante Alighieri nel canto XXIX dell’Inferno “Credo ch’un spirto del mio sangue pianga la colpa che là giù cotanto costa”, di cui a noi è più nota la rivisitazione nella frase idiomatica “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”. I calabresi sono causa del proprio male, questo è innegabile. Anzi ne sono doppiamente causa: nel non aver mai agito per invertire la rotta, per innescare un cambiamento vero, e nell’aver lasciato che altri agissero al loro posto e ovviamente ai loro danni. “Dopo la Calabria dolente, la Calabria silente: poi resta poco” evidenzia Filippo Veltri auspicandosi che si smuovano le coscienze di organizzazioni, ceti, gruppi, associazioni affinché finalmente si rompa il muro del silenzio e si scenda in campo. E in tempi rapidi, perché di tempo in verità non ne resta molto. Se la residuale ambizione di secessione del Nord dovesse realizzarsi “il divario Nord/Sud, già allargatosi durante la recente recessione economica, si trasformerebbe in un abisso”. Lo sguardo dell’autore si sposta dalla Calabria al resto del Paese, all’Europa, al mondo e individua ai mali di oggi una soluzione univoca in “un pensiero essenzialmente libero, laico, capace di confronto, di ascolto, di comprensione e rispetto reciproco, valori da favorire nelle forme più diverse”. Tra gli spunti del testo non può sfuggire la critica ferrata “all’università di facebook” che è diventata luogo di formazione preferenziale capace di trasformare velocemente l’ignoranza in arroganza. Ma dimenticando altrettanto velocemente che parafrasando il titolo di un romanzo di Corrado Alvaro “L’uomo è forte” al contrario per il suo sapere e per la sua umiltà che sono direttamente proporzionali. E questa è una piccola grande verità che il silenzio non può né celare né cancellare.