La bevanda più antica e più consumata al mondo
di Antonio Quero
La birra è la bevanda più antica e più diffusa sul nostro pianeta. Non si conosce precisamente dove sia nata poiché le sue origini si perdono nella notte dei tempi: c’è chi parla di Mesopotamia, chi di Egitto, chi di isole Orcadi, chi addirittura di Malta. In Italia furono gli Etruschi i primi a bere e a produrre birra, contagiando anche i Romani.
Il Medioevo vide la birra protagonista soprattutto per merito dei monasteri, che operarono un decisivo salto di qualità nella produzione della bevanda introducendo anche alcuni nuovi ingredienti, tra i quali il luppolo. Prima della sua diffusione, infatti, le birre venivano aromatizzate con erbe, spezie, bacche e cortecce d’albero.
La più antica “birreria” monastica è quella della abbazia di Weihenstephanm, nei pressi di Monaco di Baviera, costruita nel 724.
Prima del covid-19 negli ultimi anni il consumo pro-capite di birra degli italiani è cresciuto in maniera sensibile dopo un lungo periodo di sostanziale stabilità. Questo è un segnale importante che dimostra come il nostro Paese abbia cominciato ad interessarsi al prodotto birra, pur rimanendo ancora ben al di sotto della media europea, lontani da paesi culturalmente più legati a questa bevanda, come la Cecoslovacchia o la Germania.
Oggi la grande industria si è appropriata della quasi totalità della produzione, ma da qualche anno si assiste al revival di molti stili della birra ormai dimenticati. Il suo sviluppo, in tal senso, si deve soprattutto al mondo artigianale che, prima delle multinazionali, ha meglio interpretato un concetto di bere birra da abbinare al cibo. Ciò ha sviluppato cultura sul prodotto e sulle differenti famiglie, sulla conoscenza delle materie prime utilizzate e sull’origine di tale materie e sulle diverse tipologie di produzione, un pò come era successo qualche anno fa con il vino.
Ma cos’è una birra artigianale? E perché è diversa da una birra detta industriale? La legislazione italiana dal 1996 determina che una birra per poter essere definita artigianale non deve essere pastorizzata, non deve essere micro-filtrata. Stabilisce poi altri due parametri, che non ritroviamo in altri paesi europei o del resto del mondo, e che nulla hanno a che fare con la qualità del prodotto. Impone alla birra artigianale un limite di produzione annua non superiore ai 200 mila ettolitri; inoltre stabilisce che il birrificio rimanga indipendente, ovvero non controllato da altre aziende birrarie in modo da non superare il limite di produzione imposto. Quindi i birrifici italiani sono ben lontani dal produrre 200 mila ettolitri di birra all’anno, sono mediamente molto piccoli ed in un numero elevatissimo. Contiamo oltre 700 birrifici attivi, quarti per numero in Europa e con una produzione ettolitrica media particolarmente bassa ma con una produzione incredibile di diverse varietà . Da qualche anno, grazie a questi piccoli birrifici nati dalla passione dei titolari in piccole cantine o sotto scala, cominciamo a sentire parlare di stili di birra e di fermentazioni e di molte altre definizioni prima sconosciute.
In base alle caratteristiche di produzione ed al gusto, le birre si posso classificare in decine di stili birrari e categorie. Dovendone dare una definizione molto generale, possiamo dire che la birra è una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione di un mosto fatto di cereali maltati (principalmente orzo), aromatizzata e amaricata da luppolo.
Per fare una birra bastano 4 ingredienti: acqua, malto d’orzo, luppolo e lievito. Eppure la combinazione di questi elementi uniti a diversi metodi di lavorazione permette ai mastri birrai di tutto il mondo di produrre parecchie migliaia di ricette diverse.
L’acqua è probabilmente l’elemento più importante nella birra, perché può determinare l’influenza degli altri ingredienti sul prodotto finito. Per esempio, l’acqua povera di sali minerali è perfetta per produrre birre di tipo pils, mentre non va bene per le birre di tipo ale che preferiscono acque dure. Con malto si intendono cereali maltati, ovvero che siano stati sottoposti al procedimento di maltazione. Il processo di maltazione converte gli amidi nei chicchi del cereale in zuccheri fermentabili. Il malto, a differenza del cereale grezzo da cui deriva, infatti, può essere fermentato dai lieviti e trasformato in alcol e anidride carbonica, ovvero in birra. Il luppolo è una pianta a fiore che appartiene alla famiglia delle cannabacee. L’uso del luppolo nella birra è piuttosto recente; nell’antichità si usavano sacchetti di spezie miste, Adesso il luppolo si usa in quasi tutti gli stili birrari; per la legge italiana una birra non può definirsi tale se non contiene il luppolo. Il luppolo dà alla birra l’amaro e l’aroma, inoltre è un conservante e disinfettante naturale. Esistono centinaia di varietà di luppolo da birra. La varietà e la quantità usata variano a seconda dello stile e della ricetta della birra. I mastri birrai, a seconda dello stile di birra che vogliono produrre, dosano varie tipologie di luppoli: alcuni per determinare l’aroma.
Il lievito è l’ingrediente attivo della birra, che converte gli zuccheri del malto in alcol e anidride carbonica, durante la fermentazione. I produttori di birra classificano i lieviti in due grandi gruppi: alta fermentazione e bassa fermentazione.
I lieviti ad “alta” (così chiamati perché galleggiano nella parte alta del fermentatore) preferiscono temperature più alte, e conferiscono al prodotto finito un profilo aromatico complesso, ricco di corpo con toni fruttati e speziati, caratteristica che nulla ha che fare con il grado alcolico. Il classico lievito ad alta fermentazione è il saccharomycescerevisiae. La denominazione della maggior parte di birre realizzate con tale processo di alta fermentazione è la Ale e sono ad esempio: la Pale Ale della Gran Bretagna, Weiss e Kolsh della Germania oppure l’American Pale Ale degli Stati Uniti. Invece i lieviti a “bassa” lavorano a temperature più basse e alla fine della loro attività si depositano sul fondo del fermentatore. Fra questi: saccharomyces uvarum e saccharomyces carlsbergensis. Si usano per produrre birre di tipo lager, che hanno un profilo aromatico più netto.
Ci sono poi alcuni rari casi ed in zone specifiche del Belgio di fermentazione spontanea (birre lambic). Il nome deriva dalla cittadina di Lambeek, nella valle della Senne, zona tipica di produzione chiamata Pajottenland: in questo caso la fermentazione spontanea richiede una maturazione, con rifermentazione, molto lunga e si svolge in botti di legno di rovere o di castagno che in precedenza siano state usate per contenere vini. All’interno delle birre ad alta fermentazione tuttavia si possono trovare anche dei casi particolari, come le birre rifermentate in bottiglia o in fusto. In questo caso, al termine della produzione, si aggiunge alla birra una quantità di mosto e lievito aggiuntiva (o anche del semplice zucchero) in modo da nutrire i lieviti rimasti all’interno del prodotto per ripartire la fermentazione. Questo processo intensifica ancora di più l’aroma e la corposità della birra. La rifermentazione in bottiglia è una tecnica tipica delle birre Trappiste e a quelle di Abbazia.
Oltre a suddividere le birre in tre macro-categorie, quali Ale, Lager e Lambic, è possibile differenziarle in base a: colore, sapore, gradazione alcolica, ingredienti, metodo di produzione, ricetta storia e origini. Per maggiori dettagli vi suggerisco di leggere la guida agli stili birrari 2015 a cura del BCJP (Beer Certification Judge Program).
Ciò che realmente importa al consumatore non è conoscere tutti questi stili ma ricercare quello che più si avvicina al proprio gusto. Avvicinare il prodotto birra al consumatore è un compito affidato ai nostri publicans o più semplicemente gestori di pub e birrerie. Hanno loro il compito di far conoscere la birra e far appassionare il loro clienti. Lo devono fare offrendo prodotti di eccellenza, un’ampia varietà di etichette per incuriosire e mai annoiare il consumatore. Servire o spillare la birra secondo manuale, rispettando i diversi stili di spillatura che le caratteristiche della birra richiede. Devono conservare il prodotto al meglio in luoghi freschi e lontano da fonti di calore e di luce, per preservarne le caratteristiche di freschezza e fragranza. Da qui il ruolo del distributore del canale On Trade: deve prima selezionare, poi immagazzinare e quindi rendere fruibile anche in piccole quantità un’imponente gamma di etichette in bottiglia, in fusto ed in lattina. Deve consigliare, formare, aggiornare il gestore di tutte le novità poste sul mercato; essere ambasciatore di cultura birraria, avvicinare il birrificio alle birrerie. In sintesi, un distributore ha l’affascinante compito di mantenere sempre alta la passione per questa fantastica bevanda.