JE SUIS LOUISE: LOUISE BOURGEOIS

– di Apollonia Nanni –

“GREMBI D’ARTE”

JE SUIS LOUISE: LOUISE BOURGEOIS, la solitaria, l’indomabile ribelle.

 

Passione, timore, volontà, determinazione, temperamento e temperatura stilistica, hanno fatto di lei, pittrice e scultrice, una fra le maggiori Artiste del nostro tempo. La sua arte ha attraversato un secolo intero. “Le donne devono essere nude per entrare nel METROPOLITAN MUSEUM”? Recitava qualcuno con fare sarcastico e ironico. Io non sono entrata “nuda” al museo. Nel 1982, il MOMA di NEW WORK dedica a Louise Bourgeois una grande retrospettiva. Privilegio assoluto riservato a una donna per la prima volta.

   “Non è un’immagine che cerco. Non un’idea. E’ un’emozione che voglio ricreare, l’emozione di volere, di dare e distruggere”.

Aveva 71 anni. Le sue opere scultoree, realizzate in diversi materiali, dal marmo, al bronzo, al gesso, al legno, ferro, bozzetti vari, la rendono nota e famosa in tutto il mondo. Tutto il lavoro degli ultimi cinquant’anni, “tutti i miei soggetti hanno tratto ispirazione dalla mia infanzia. Una infanzia che non ha mai perso la sua magia, il suo mistero, il dramma”. Certo non capita a tutti: nascere il 25 dicembre, (1911), a Parigi, la città degli artisti per antonomasia. Per molti genitori sarebbe stato un felice evento, come per Giuseppe e Maria in quella gelida notte, con il loro Gesù Bambino. Nella casa dei due tessitori d’arazzi, i miei genitori, non fu così, per loro ero una caramella amara. Louis, il nome maschile mi fu affibbiato da mio padre che avrebbe desiderato un figlio maschio, e per i miei primi anni adolescenziali fu così che mi crebbe.

La mia esistenza, segnata dalla violenza. Per la creazione delle mie opere sono ispirata dagli incubi della mia infanzia. Per me creare è un modo per sopravvivere. Ho lavorato fino all’ultimo giorno della mia vita: a 98 anni ho esalato l’ultimo respiro, il 31 Maggio 2010, avevo abbozzato una ennesima “bambola di stoffa”, meditavo di raffigurarla appesa a un filo, come lo siamo tutti, con la speranza che il filo cedesse più tardi possibile. E’ forse per allontanare quel momento, guadagnare tempo, che avevo abbozzato più opere per dribblare, giocare a scacchi con la morte, partita persa .Il tempo…l’avversario più temuto. Ogni artista vive di rimandi, è addomesticato alle rinunce, teme lo sfratto dal suo fantastico mondo, pur consapevole del suo essere immortale. Continuerà a “vivere” se verrà custodita la sua memoria. A farmi lavorare è la rabbia, espello le mie ossessioni, sottrazioni di abbracci mancati, torti subiti. Da piccola venivo trascinata da mio padre per bordelli parigini, forse per affermare il suo ego, in cuor suo sperava diventassi “uomo”. Motivo delle sue tante sculture dedicate, in maniera dissacrante e ironica al fallo, organo maschile per eccellenza, il solo vanto, per alcuni “miseri mortali” , impotenti nell’affrontare la vita, sedotti dalle umane miserie. Inquietudini che mi hanno segnata, i solchi profondi sulla mia vecchia faccia esprimono i tormenti vissuti, e non solo su quella. Lacerazioni dell’anima. Per me l’arte è un modo per sopravvivere e non per uccidere qualcuno.

“L’artista è un lupo solitario. Ulula tutto solo. Il che però non è così terribile, perché lui ha il privilegio di essere in contatto con il proprio inconscio. Sa dare alle sue emozioni una forma, uno stile. Fare arte non è una terapia, è un atto di sopravvivenza. Una garanzia di salute mentale. La certezza che non ti farai del male e che non ucciderai qualcuno. Le mie bambole di stoffa monche, il desiderio atavico di distruggere mio padre, le sue braccia…odiavo vederle cingere le spalle di colei che non era mia madre, risultato evidente delle mie bambole monche, tagliate, deformate. Ho subito un triplo tradimento, mia madre sapeva e taceva, per lunghi anni nella stessa casa si consumava la tresca con la mia governante. Condizionata per tutta la vita da tale “immorale quadro famigliare”, appena ne ebbi l’occasione andai via da quell’inferno, divenuto insopportabile. Mio padre detestava gli artisti, non voleva che diventassi “una di loro”. Ma il destino aveva in serbo per me altre mete. Non sarebbe mai successo se fossi rimasta in Francia, quasi fuggii da quella tribolazione. Come può un luogo diverso determinare il nostro destino. Nel 1938 Louise sposa un critico d’arte americano Robert Goldwater che la porta con sé a NEW YORK. Allestisce uno studio a Manhattan, dove realizzerà dozzine di figure di legno emaciate: le Personages. E’ solo l’inizio della sua lunghissima carriera in solitaria, come un navigatore che va per mare a vele spiegate, con il timore di naufragare, lei varca i confini della sua mente addentrandosi nel fuoco interno dell’arte che la divora. Artista solitaria non legata alle mode, (le mode passano, lo stile resta), un’opera può avere un’anima perché ha il potere magico di provocare una reazione nell’osservatore.

“Sono una maratoneta solitaria. E non lavoro per il successo. Lavoro per esprimermi e sentirmi più serena. Per questo ho potuto continuare tanti anni ignorata dal mercato”.

E’ stata la sua fortuna, non ha dovuto preoccuparsi di esibire curriculum preconfezionati, come spesso accade. Sono le opere che realizza un’artista nel corso degli anni, autentica carta d’identità, ad esprimere la valenza e la grandezza, a “parlare” “raccontare”, Louise ne è un esempio, quante librerie traboccano di inutili cataloghi polverosi che rappresentano il nulla! L’artista non ha necessità di esprimersi se non attraverso le sue opere. Quando c’è Arte, si vede, si sente il profumo si palpita l’essenza si riceve emozione, attrazione, si viene avviluppati, rapiti da una forza invisibile qual è l’arte, ed è permanente, rifugge da clichè precostituiti, profluvi di parole ad opera di scribacchini amatoriali. Ritengo, che il solo, autentico conoscitore della propria opera è l’artista che l’ha generata. Nel 1949 abbandona la pittura per la scultura a lei più congeniale. Espone le prime opere tridimensionali. “Nella mia arte, vivo in un mondo che costruisco con le mie stesse mani. Prendo decisioni. Ho potere. Nel mondo reale, non voglio potere. Facendoti da parte, riconoscendo che non hai potere, diventi te stesso. Ti vengono idee che non avresti mai avuto.” Nel 1974 crea un’opera che si definisce e attesta la sua liberazione: “Distruzione del padre”. ISTINTI DISTRUTTIVI, LA PAURA, L’ABBANDONO.

FEMME MAISON: un corpo metà casa e metà donna. “Ho tessuto per tutta la vita la mia ragna-tela, io stessa mi sentivo “ragna”, femmina in caduta libera, e come il ragno se la tela non è perfetta, non la riparo la distruggo per crearne una nuova. Da un punto di partenza per ricominciare attingendo nel labirinto delle mie ossessioni”. “MAMAN” giganteschi ragni d’acciaio, ode alla madre, opere , fra le più rappresentative che l’hanno resa famosa nel mondo. BILBAO, dinanzi al GUGGENHEIM, MUSEUM OF MODERN ART, MOMA considerato il principale museo moderno al mondo. Nel 1993 L.B. riceve insieme a B. Nauman, il Leone d’oro alla Biennale di Venezia.

Antenne di insetti irrequieti le sue mani, due occhi come punture di spillo in quel fisico minuto, dalla grande mente, ci ha lasciato opere che rimarranno per l’eternità. L’arte è sacrificio della vita stessa. Non perché lo voglia, ma perché non può fare altrimenti. “Il bozzolo ha consumato l’animale. Io sono il bozzolo. Non ho io. Io sono il mio lavoro.” Forse che l’arte si annida nei bozzoli della nostra mente? Io sono Louis-e Bourgeois, una via d’uscita…

 

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