*di Bruno Pisani*
La domenica è il giorno del risanamento delle relazioni della persona con gli altri, con se stessa e con Dio. In questa luce bene si integra il valore del riposo e della festa. Il lavoro è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così il giorno del riposo diffonde la sua luce sull’intera settimana incoraggiandoci a prenderci cura dei bisognosi e della natura. Il riposo non è semplice inattività, trascorrere le ore in modo sterile ed inutile. Ma è un altro modo di agire che fa parte della nostra essenza, non è pigrizia è un bisogno umano.
Se manca il lavoro tuttavia, non solo perde di significato il riposo ,non solo viene meno il reddito, ma viene meno la persona umana. Gli esseri umani si nutrono della dignità del lavoro. E’ proprio cosi chi perde il lavoro e non trova un altro lavoro adeguato alle sue capacità, sente che perde la dignità di essere umano. Nelle famiglie dove ci sono disoccupati le feste diventano giorni tristezza perché manca il lavoro del lunedì. Per celebrare la festa bisogna celebrare il lavoro. Le due cose si scandiscono il tempo reciprocamente e vanno insieme. Un paradosso della nostra società è la presenza di persone che vorrebbero lavorare e non riescono ,insieme ad altri che lavorano troppo, che vorrebbero lavorare di meno ma ciò non è consentito dai loro datori di lavoro. Il lavoro diventa amico quando accanto ad esso c’è il tempo del non lavoro, della festa.
Al centro di questa alternanza lavoro/ riposo c’è il progetto ambizioso di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la comunicazione tra le diverse sensibilità culturali e religiose. Promuovere dunque, tramite il lavoro, la dignità dell’uomo è il messaggio di speranza ed incoraggiamento da indirizzare soprattutto al mondo dei giovani. Questi vanno educati a legare la dimensione ed i bisogni individuali a quella sociale, del bene comune del “noi tutti” formato da famiglie e gruppi che si uniscono in comunità sociale. Un’ abilità che ci guida verso la continuità e la coerenza che sono le gambe su cui cammina l’autostima. Non lasciamo i figli soli in mare aperto, in balia dei venti e delle indecisioni, magari credendo di rispettare la loro libertà. Così facendo alimentiamo l’anarchia decisionale che, soprattutto nel periodo adolescenziale, alberga in loro. La fermezza nei gesti educativi equivale ad orientare lo sguardo dei giovani verso la speranza.