di Massimo Ricci – architetto e già docente universitario
Il 7 Agosto dell’anno 1420 si cominciò a murare la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze. Come disse Leon Battista Alberti «… vedendo qui struttura sì grande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e’ popoli toscani, fatta sanza alcuno aiuto di travamenti o di copia di legname…». In effetti è la cupola più grande del mondo per dimensioni e massa muraria, e dalla difficoltà tecnica eccezionale in quanto – a differenza di tutte le altre cupole erette in precedenza – questa è “non sferica” e quindi “non autoportante”. Nella storia dell’architettura di tutti i tempi, nessuno aveva mai osato solo immaginare una struttura del genere. È tanto complessa e così particolare da costituire un unicum nella storia dell’umanità. È quindi facilmente definibile come “impossibile”. I Romani avevano costruito delle cupole imponenti, come il Pantheon, ma di forma circolare e quindi a calotta sferica che garantiva l’autoportanza e ne impediva il crollo in corso di costruzione. Quella che i fiorentini vollero realizzare era invece a base poligonale e con le calotte piatte (vele) che necessitavano di essere “armate” nel corso della loro costruzione. Le armature sono elementi in legno che sostengono la struttura mentre la si costruisce. Infatti fino a che non “è chiusa” la cupola a calotte piatte non raggiunge il suo equilibrio statico e quindi, senza le armature, crollerebbe su se stessa. La cupola di Santa Maria del Fiore non essendo sferica avrebbe richiesto delle armature di sostegno, nel corso della sua costruzione, di circa 93 metri da terra. Inoltre queste armature avrebbero dovuto sostenere il peso della struttura, che si aggira sulle 28.000 tonnellate (quasi il doppio della cupola di San Pietro), alle quali si devono aggiungere le 900 tonnellate che sono pari al peso della Lanterna.
La base di imposta della struttura si trova esattamente sulla sommità del tamburo, ad una quota di circa 53.85 metri dal pavimento della Cattedrale ed è costituita da un ottagono la cui diagonale interna è pari a 45 metri, e quella esterna a 55. Ognuna delle otto vele è costituita da due “calotte”: quella interna ha uno spessore costante di circa 2,25 metri e c’è uno spazio praticabile di circa 0,90 metri; quella esterna ha uno spessore medio pari a 0,90 metri. Entrambe le calotte, nella parte iniziale, sono realizzate in pietra forte e mattoni. Più precisamente, i primi sette metri di struttura, partendo dalla base di imposta, sono realizzati in filaretto di pietra forte. Finiti questi primi metri in pietra, comincia la muratura di mattoni fino al serraglio “chierica” ove Brunelleschi ha posto il dispositivo di chiusura della cupola.
Sul serraglio, alla quota di 89.05 metri, è direttamente basata la Lanterna in marmo di Carrara. Dalla base di imposta alla base della Lanterna c’è una altezza di circa 35,20 metri. La Lanterna misura, dalla base alla Croce, circa 24,40 metri. Dal pavimento della Cattedrale arriviamo quindi ad un’altezza di 113,45 metri alla sommità della Croce, mentre dal suolo esterno misura 114.63 metri. Sono dimensioni che all’epoca del Brunelleschi risultavano spaventose ed era quindi molto giustificata la prudenza che i Consoli dell’Arte della Lana, amministratori del cantiere, mostravano nelle decisioni. Ne sia prova il fatto che il concorso per la costruzione della cupola da quando fu bandito, in data 19 agosto 1418, arrivò al 19 aprile del 1419 quando fu conferito l’incarico a Filippo di ser Brunellesco Lapi (Filippo Brunelleschi), Donato di Niccolò di Betto Bardi (Donatello) e Giovanni d’Antonio di Banco, di costruire un modello in mattoncini crudi della cupola. Tutti gli altri partecipanti al concorso erano stati esclusi ad eccezione di Lorenzo di Cione (Ghiberti) al quale fu commissionato un modello della sua proposta. Quindi nell’aprile del 1419 gli unici competitori al concorso rimasero Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti. Entrambi i modelli furono pagati nel dicembre del 1419, ma ancora non si era giunti alla proclamazione del vincitore e il 27 marzo 1420 si indisse un altro bando per giudicare i due modelli rimasti in competizione e coinvolgere nella scelta tutti i cittadini della Repubblica Fiorentina. Il 16 aprile 1420 Brunelleschi vince e riceve l’incarico. Venne consigliata, e accettata, la collaborazione del Ghiberti il quale assieme al vicecapo cantiere Battista d’Antonio prese parte all’impresa. I lavori di preparazione cominciarono nel marzo del 1420. Il 7 agosto 1420 si cominciò a murare la cupola utilizzando un paramento murario in filaretto di pietra forte.
Ma come fece Brunelleschi a vincere il concorso e a risolvere il difficile problema della stabilità della cupola?
Sicuramente deve la sua vittoria all’invenzione di un geniale sistema costruttivo che faceva a meno dell’uso delle “armature” e delle “cèntine”. Le prime erano le strutture che nelle cupole normali servivano per sostenerle in corso di costruzione; le seconde, sostenute dalle stesse armature, servivano a definire nello spazio la loro forma geometrica nel corso della costruzione. Nella nostra cupola fu invece evidente fin dall’inizio l’impossibilità di realizzare le armature e le cèntine a causa dei costi e della grandezza. Ciò mise fuori competizione tutti i partecipanti al concorso che ovviamente proponevano un metodo di costruzione “tradizionale” con l’uso di questi dispositivi; sistema tradizionale che qui era però era impossibile da utilizzare sia per i problemi strutturali del legname (che doveva avere un’altezza di quasi 90 metri), sia per il costo che avrebbe comportato. L’impossibilità di realizzare le armature oltre a mettere in crisi la stabilità in corso d’opera causava un altro inconveniente: impediva ai muratori di avere un comodo riferimento materiale e geometrico sul quale porre i mattoni; si sarebbero quindi ritrovati davanti ad uno spazio “vuoto”, enorme, senza un minimo riferimento che indicasse loro la forma da realizzare. La soluzione risolutiva fu, appunto, del nostro Brunelleschi. Secondo la mia ipotesi egli utilizzava solo delle cordicelle, alcuni fili a piombo ed un ponteggio di servizio alla base della cupola il cui sbalzo nel vuoto si aggirava sui 9 metri, ricorrendo a piccole cèntine parziali. Nonostante il sistema di costruzione di Brunelleschi fosse sconosciuto ed adoperato per la prima volta nella storia, l’Opera del Duomo si vide costretta ad avere fiducia in lui, in mancanza di altre soluzioni, e dopo avere esitato inizialmente gli concesse di praticare la sua teoria costruttiva. E siccome all’inizio nessuno credeva in lui, si arrivò anche a chiamarlo “bestia” e a deriderlo. Ma egli difese il suo metodo come un vero e proprio segreto che per 500 anni ha sfidato le menti e gli studi di numerosi studiosi. Io cominciai a studiarlo nel 1977 e formulai la mia prima ipotesi nel 1982, esposta in una pubblica conferenza in Palazzo Medici-Riccardi a Firenze. Da allora non ho più smesso di studiarlo e per approfondirne i più reconditi aspetti nel 1989 progettai e realizzai la costruzione di un modello in scala 1:5 della cupola, nel Parco dell’Anconella di Firenze, per mettere “in pratica” quel sistema di costruzione. Il modello è oggi conosciuto in tutto il mondo.
Vediamo allora come il Maestro riuscì a risolvere la questione. Sicuramente si pose per primo il problema del tracciamento geometrico della cupola che consisteva nel trovare un sistema per sostituire le cèntine che non potevano essere messe in opera; e fece riferimento al sistema di tracciamento degli otto angoli interni. Ciò doveva avvenire con la tecnologia del “sesto di quinto acuto”. Il “sesto” indicava per gli antichi ogni struttura curvata (archi e volte). Il “quinto acuto” era la forma geometrica che doveva assumere la “curvatura” della struttura e si ottiene dividendo in cinque segmenti la diagonale di base della cupola. Il centro su cui fare riferimento per tracciare ognuno degli otto angoli della cupola si trova a metri 9 di distanza dall’angolo opposto a quello che vogliamo definire (vedi tav.3). Quindi, bastava avere la possibilità di accedere a questo centro e con una semplice cordicella di 36 metri, la cui sommità percorresse il dorso di ogni singola cèntina, si sarebbe risolto il problema del tracciamento nello spazio della geometria di ognuno degli otto angoli della cupola, senza utilizzare “cèntine totali” che – come affermato più volte – non erano realizzabili. Bisognava anche essere sicuri che la cordicella ruotasse in verticale perché gli angoli di questa risultassero perfettamente a piombo con il piano di base. Si realizzò perciò una “stella”, ossia un sistema di corde che – teso in orizzontale da angolo ad angolo della base – materializzò le quattro diagonali. Piombando col filo la “stella” della cupola è possibile guidare su un perfetto piano verticale la cordicella che costituisce il raggio della circonferenza ed ottenere quindi la forma geometrica esatta di ogni angolo interno della cupola (vedi tav.3).
Per il nostro modello ci serviremo di otto piccole cèntine di circa 4,20 metri che saranno spostate lungo ogni angolo della cupola in corrispondenza di ogni livello a cui si costruisce, fissate negli angoli con delle staffe in ferro. Queste piccole cèntine mobili saranno guidate e controllate nella loro traiettoria di spostamento lungo l’angolo, utilizzando proprio la cordicella di 36 metri che ci permetterà ogni volta di posizionarle in corretto assetto. È evidente che per raggiungere il centro di curvatura di ogni angolo dovremo arrivare ad una distanza di circa 9 metri da ogni angolo. Ci serviremo di un ponteggio che realizzi questa condizione.
Una delle prime idee geniali di Brunelleschi fu proprio la realizzazione del grande ponteggio alla base della cupola. Di questo, esistono ancora oggi le 48 buche quadrate visibili alla base dell’imposta della cupola: sono profonde circa 3.70 metri per permettere l’alloggio delle travi che lo sostenevano. Brunelleschi aveva così risolto la prima importante questione del problema costituita dal tracciamento geometrico della cupola. Rimaneva ora da risolvere l’altro terribile problema: l’autoportanza in assenza delle armature. Il problema nasceva dal fatto che le vele della cupola, essendo piatte, non potevano contare su questa caratteristica; ma esiste un arco che ha il profilo piatto o meglio che ha un intradosso lineare: la piattabanda. Molto conosciuta fino dai tempi dei Romani, questo dispositivo poteva essere adoperato come un arco perché i mattoni che lo componevano erano messi in opera orientati verso il centro, in modo da generare le forze sufficienti al suo equilibrio statico. Brunelleschi sfruttò questa tecnologia per conferire l’autoportanza delle vele senza armature, posizionando i mattoni che le componevano come se fossero appartenenti a delle piattabande orizzontali. In pratica, ogni corso di mattoni nella sezione orizzontale della cupola è costituito da una piattabanda che, funzionando come un arco vero e proprio, non può cadere verso l’interno anche se è piatta e non curvata ad arco (vedi tav.5). La mente geniale di Brunelleschi inventò quindi un sistema che consentì ai muratori di conoscere in ogni punto della costruzione queste direttrici di posizionamento dei mattoni, che prende il nome di mattoni a “spinapesce” : sono quelli che si vedono sulla superficie conica della muratura del modello (foto n.1) che formano delle “creste” sporgenti dal piano di posa. Ovviamente, questa operazione non si eseguiva per tutti i mattoni messi in opera, ma solo per quelli della “spinapesce”. Senza questo dispositivo non si sarebbe potuto procedere ed è questo il vero geniale segreto della cupola di Santa Maria del Fiore.
Come evidenziato dalla tavola n. 7, si capisce che tutta l’attività di tracciamento avveniva stando sul ponteggio di servizio. Tale tecnica è stata l’oggetto della mia ricerca, durata per circa quarant’anni e poi confermata dalla costruzione del modello. Le numerose prove tecniche e storiche trovate sulla cupola e nei documenti confortano la mia ipotesi sul procedimento costruttivo: una su tutte, l’incredibile corrispondenza fra il disegno della famosa pergamena di Giovanni di Gherardo da Prato (conservata all’Archivio di Stato di Firenze) risalente al 1425 e redatta da un uomo che frequentava il cantiere della cupola e che vide Brunelleschi mettere in opera la sua tecnica costruttiva. Il disegno corrisponde esattamente all’ipotesi qui illustrata (vedi Tav. 8 e foto n.2). Il modello del Parco dell’Anconella, realizzato dagli studenti della Scuola Edile della provincia di Firenze e dai miei studenti della Facoltà di Architettura, è pertanto la prova pratica che conferma
come Brunelleschi costruì questa meravigliosa cupola “impossibile”.