Il mare può diventare un grande incubatore di crescita sostenibile per le imprese del Mediterraneo
di Domenico Letizia
L’elaborazione di formule economiche legate alla blue economy diventa sempre più incisiva nel bacino del Mediterraneo. Negli ultimi decenni è stato calcolato che il 34% della popolazione ittica del Mediterraneo è a rischio di scomparire. Inquinamento, cambiamenti climatici e pesca senza controllo hanno depauperato progressivamente la biodiversità di uno dei più delicati ecosistemi europei. Per tentare di arginare la scomparsa della biodiversità e un oscuro destino del bacino del Mediterraneo, la Commissione Europea e altre organizzazioni internazionali stanno lavorando ad una nuova iniziativa comunitaria dedicata allo sviluppo sostenibile dell’economia blu nella regione del Mediterraneo occidentale. “Sono 180mila le imprese dell’economia del mare annotate nei Registri delle Imprese delle Camere di commercio italiane alla fine del 2013, pari al 3% del totale imprenditoriale del Paese. Il turismo marino è l’ambito dove si concentra la maggior parte delle imprese della blue economy, in virtù del fatto che il 40% delle imprese dell’economia del mare è costituito da quelle che operano nel settore dei servizi di alloggio e ristorazione”, ha recentemente calcolato il Think Tank “Imprese del Sud”.
Per rispondere all’impatto dei cambiamenti climatici risulta necessario investire per migliorare la capacità delle comunità rurali di accedere alla terra, al mare e alla pesca, al credito e alle altre risorse, assicurandosi allo stesso tempo che possano godere di servizi base come l’acqua, l’igiene, la salute, l’educazione, le infrastrutture di trasporto ed l’elettricità. Il livello del Mediterraneo si sta innalzando velocemente a causa del riscaldamento globale e, secondo le proiezioni dell’ENEA, entro il 2100 migliaia di chilometri quadrati di aree costiere italiane rischiano di essere sommerse dal mare, a causa di un innalzamento del mare stimato in circa un metro. È essenziale iniziare a far divenire risorsa quello che sta divenendo un problema a causa dell’azione dell’uomo.
La blue economy, ovvero il complesso di attività legate direttamente o indirettamente alla risorsa mare, comprende migliaia di imprese, tra pesca, cantieristica, trasporti marittimi, turismo e attività di ricerca. Inoltre, se si considera che ogni euro generato direttamente dal comparto ne attiva circa altri due sull’economia nazionale, si arriva a un valore aggiunto prodotto dall’intera filiera pari a 130 miliardi di euro all’anno e che sfiora il 10% del totale dell’economia. Di qui l’importanza della pianificazione e manutenzione delle infrastrutture, che è un tema ancora sottovalutato in Italia.
Alcune idee innovative provengono dal Comune di Genova. Il capoluogo ligure ha dato avvio ad un accordo di collaborazione con “Deloitte Officine Innovazione”, per la nascita del primo acceleratore in Italia per la blue economy, che riunirà attività di supporto imprenditoriale dedicate a imprese che propongano attività legate al mare. L’acceleratore per le imprese della blue economy, che avrà la sua sedea Palazzo Verde, alle spalle del Porto Antico, diventerà operativo entro la fine di quest’anno. La tematica è stata ulteriormente riproposta nel Secondo Forum Internazionale “Cambiamenti climatici. Nuovo Artico, vecchio Mediterraneo: insieme in un insolito destino”, organizzato un anno fa a Genova dal Milan Center for Food Law and Policy. In quell’occasione Alfonso Pecoraro Scanio, oggi presidente della Fondazione UniVerde, ha continuato la sua vertenza con le proposte #MediterraneoDaRemare e #MediterraneoNoPlastic, campagne nazionali promosse da UniVerde e Marevivo per tutelare i nostri specchi blu, con l’importante adesione della Guardia costiera. La blue economy può divenire davvero il più grande incubatore di crescita e sostenibilità per le imprese del Mediterraneo e un ruolo centrale tocca alla penisola italiana. Opportunità che la politica e la nostra società dovrebbero riuscire a valorizzare, comprendere e diffondere.