di Elia Banelli
Avviso ai naviganti: se siete alla ricerca di un tipico thriller ad alta tensione, ricco di mistero e colpi di scena, serial killer implacabili o un giallo investigativo e cervellotico alla Sherlock Holmes, state alla larga da questo libro. Se, al contrario, vi interessa e vi affascina una lettura diversa, controcorrente, spiazzante, allora è il caso di farvi sotto e di leggere Giustizia. Un romanzo che non è inquadrabile e incastonabile in nessun genere, poiché li evita, li circuisce e li sorvola con acuta maestria.
Il testo sconvolge tutti gli archetipi letterali e si conquista un angolo originale nella storia della narrativa europea. Friedrich Dürrenmatt, scrittore svizzero che ci ha lasciati nel 1990,conferma di essere una penna poliedrica e sorprendente. Oltre a essere stato un pittore ritrattista caricaturista, si è prima di tutto affermato in campo teatrale come autore polemico, paradossale e iconoclasta, approcciandosi a uno stile di anticonformismo sarcastico con punte di grottesco. Un intellettuale così eccentrico non poteva che produrre un’opera di difficile interpretazione, non adatta a chi predilige una lettura moderna e mainstream, dallo stile più fluido e scorrevole. Dürrenmat si assapora come un vecchio buon whisky: con parsimonia e ponendo attenzione ai dettagli.
Giustizia è un vero giallo sui generis, anzi si potrebbe definire un romanzo “anti-poliziesco”. Perché? Semplicemente perché fin dalle prime pagine ci esibisce l’assassino: un personaggio di nome Kohler, consigliere di un Canton svizzero, che pianta un proiettile nella testa calva del professor Winter. Kohler è stranamente felice di essere sbattuto in galera e assolda uno squattrinato avvocato di nome Spät con il compito impossibile di riesaminare il caso partendo dall’ipotesi che l’omicida non sia stato lui.
La caratteristica da “anti-poliziesco” del romanzo si esplica inoltre nella chiara mancanza di un movente alla base del delitto: «Il comandante era disperato. Era un uomo concreto. Per lui un omicidio era un incidente, sul quale non esprimeva alcun giudizio morale. Ma in quanto uomo d’ordine, doveva trovare un motivo. Un omicidio senza motivo per lui non era un delitto contro la morale, bensì contro la logica».
L’avvocato Spät accetta infine la sfida, precipitando in una paradossale commedia umana e filosofica che in una sequenza dopo l’altra coinvolge un playboy, una squillo, due protettori, una perfida nana e le sue guardie del corpo. Riuscirà nell’ardua impresa di farsi beffa di una “giustizia” a volte così fragile ed estemporanea?
Partendo da ciò che potrebbe sembrare un delitto evidente, Dürrenmatt gioca dunque di sponda come in una partita di biliardo e si muove in una direzione anticonvenzionale, anarchica, senza rinunciare a qualche colpo di scena, ai ribaltamenti di prospettiva, a un’accurata analisi sociale e politica del suo tempo e di uno Stato, la Svizzera, immobilizzato in un simulacro di perfezione, a volte eccessivamente costruito: «Sono un uomo artificiale, generato in un laboratorio modello, guidato dai princìpi degli educatori e degli psichiatri, che il nostro Paese ha prodotto insieme agli orologi di precisione, agli psicofarmaci, al segreto bancario e alla neutralità perenne».
Buona lettura.