di Enea Rotella
La storia di Erodoto, nel suo genere, è una delle più affascinanti perché le sue opere in chiave moderna anticipano quelle che sono le regole auree del buon giornalista. Se si prende ad esempio la guerra che portò sul campo di battaglia la Grecia contro l’impero persiano, lo storico greco cercò di individuare le cause diffidando dai racconti di chi lo aveva preceduto. Per lui le fonti erano importanti così come l’approccio da inchiesta giornalistica e l’analisi degli eventi dal punto di vista storico. Ma facciamo un passo indietro. Alcuni tratti della sua vita sono noti, altri meno. Gli storici concordano sulla nascita (Alicarnasso tra il 490-480 a. C.) ma sulla sua morte vi sono delle discrepanze. Alcuni sostengono che la sua vita ebbe fine ad Atene nel 424 circa, altri che morì a Thurii intorno al 430 a. C. Quest’ultima città faceva parte della Magna Grecia, era situata a Sybaris (l’odierna Sibari, in Calabria) ed era una colonia panellenica, ossia un misto di greci provenienti da vari punti. Erodoto di sicuro partecipò alla fondazione di Thurii e infatti ne ottenne la cittadinanza; ma se una parte della tradizione storica individua la sua morte ad Atene, un’altra stabilisce la sua fine terrena proprio in questi luoghi del Sud Italia, subito dopo lo scoppio della guerra del Peloponneso. Altro punto controverso sono i suoi probabili viaggi: alcuni storici narrano che visitò molti luoghi come ad esempio la Tracia, Macedonia, l’impero persiano, l’Egitto e la Cirenaica; altri sono più del parere che egli raccontò di questi luoghi nei suoi lavori facendo un uso massiccio di fonti ma che in realtà non ci mise mai piede.
Altro punto controverso è che Erodoto da una parte crede all’idea dei miti, ai sogni profetici e in particolare all’invidia divina che si abbatte sulla Terra per umiliare i mortali che vogliono raggiungere o paragonarsi agli dèi, dall’altra razionalizza il concetto religioso. Se da una parte le informazioni che si hanno sono ambigue dall’altra vi sono alcune certezze: Cicerone nel suo De legibus lo definì il «padre della storia»; Plutarco gli dedicò un intero trattato: il De Herodoti Malignitate. Bisognerà comunque attendere il Rinascimento affinché le opere di Erodoto diventino conosciute grazie alle varie traduzioni. Altro punto fermo è la storia, che per il Nostro aveva un fine pedagogico poiché non era solo un susseguirsi di avvenimenti ma fatti ben collegati tra loro. Il piglio era quello di un giornalista navigato perché la sua metodologia si fondava su tre principi: la vista, l’ascolto e il criterio nel caso in cui i primi due fattori entrassero in conflitto. Il criterio serviva a scindere gli eventi tra quelli letti o sentiti e quelli visti di prima persona. I grammatici alessandrini divisero l’opera storica di Erodoto in nove libri e solo in un secondo momento furono chiamati le “Nove Muse”. “Se un uomo vuole occuparsi incessantemente di cose serie e non abbandonarsi ogni tanto allo scherzo, senza accorgersene, diventa pazzo o idiota”. II, 173.