Dizionario daltonico di una DIVA – (nona parte)

francesca romana tiddi

*di Francesca Romana Tiddi*

T – TU QUOQUE TATA MIHI?

“Tata” (o “Tati”) e’ il vezzeggiativo con cui io e Claudia da sempre ci rivolgiamo l’un l’altra. “Tati aspettami!”… “Tati come si fa questo?”… “Tati come si apre quello?”, sono solo alcuni esempi dei tormentoni tipici dei nostri viaggi. Le prime trasferte, molto sofferte dalla nostra cucciolona mediterranea (perche’ molto spesso si muove in modo maldestro come i cuccioli che non sono consapevoli della loro grandezza e, nel suo caso, sinuosita’), hanno costituito una sorta di battesimo di fuoco, in cui le lamentazioni per la lontananza da casa si alternavano ad uscite del tipo “Ma vuoi mettere il mare di Napoli?”, “Ma vogliamo confrontarlo con le melanzane alla parmigiana?”, “Ma avete mai assaggiato un caffe’ serio?”, e via dicendo. Tuttavia alla tournee’ Cina-Malesia devo dire che Claudia arriva abbastanza rodata, tanto che la consueta slogatura che mi provoca solitamente al braccio, in fase di decollo ed atterraggio del volo, risulta stranamente contenuta. Uscita da quell’aeroporto mi sento dopata: sicuramente stonata dal viaggio e dal fuso, ma curiosa ed entusiasta di conoscere tutto di una realta’ cosi’ lontana, antica e affascinante. Mentre elenco a Tati i motivi per cui dobbiamo al piu’ presto prendere un taxi e andare dappertutto, un signore distinto in abiti eleganti ci sorpassa sulla sinistra e sputa per terra una quantita’ incommensurabile di saliva. Raggiunto il taxi, Rossella e’ ovviamente d’accordo con me sul fatto di andare un po’ in giro, magari in qualche bazar, per immergerci subito nella “sugna culturale del posto”. Peccato che il gentilissimo tassista non proferisce ne’ comprende alcun verbo che non sia dialetto cinese: proviamo allora a mostrare il biglietto da visita del nostro albergo, rimandando la gita a malincuore, e lui a quel punto reagisce positivamente; si fa un piccolo spuntino di brodo di cozze dal barattolo custodito sotto il sedile, che la moglie gli avra’ amorevolmente preparato per la giornata di lavoro, e mette in moto sicuro. Ma sono ancora determinata nel far cambiare idea a Tati e farla innamorare di questa civilta’. Punto sulla citta’ antica di Shangai, uno splendido cuore pulsante di casette di legno e servizi da sake’ nel bel mezzo di una metropoli futuristica di luci e grattacieli, in cui 360 giorni l’anno non si vede il cielo, ma una striscia di fumo e foschia generata dall’inquinamento. Ma il vero asso nella manica me lo gioco a Hong Kong: una cabinovia sospesa sulla baia (una delle piu’ sublimi che abbia mai visto) ci conduce al tempio di Buddha, un luogo sacro sulle colline, dove Siddharta ebbe le prime rivelazioni. Ed e’ li’ che Tati, impu- gnando le sue bacchette, con lo stomaco vuoto e le lacrime agli occhi, gira un brodino di alghe e riso ed intona solenne “Erba di casa mia”.

mare

U – URRA’ PER UN VERO MECENATE

Un’altra esperienza che a ripensarci sembra frutto di qualche viaggio onirico, e invece, quattro testimoni giurano di averla vissuta veramente. Cape d’antibes, Costa azzurra: estate tiepida, giornata favolosa in cui ti senti Grace Kelly in costiera. Se non fosse che uno dei raffinatissimi ascensori vintage del nostro albergo si blocca tra il secondo e il terzo piano e la sottoscritta, che annovera tra i suoi difetti anche una spiccata claustrofobia, comincia ad ansimare e a spogliarsi letteralmente per mancanza di fiato. Mentre Laura e Claudia tentano di coprirmi per evitare lo streaptease pubblico (l’ascensore e’ uno di quelli a grata, quindi gli ospiti dell’albergo sono liberissimi di godersi la scena da fuori) Rossella da’ l’allarme, e in pochi istanti ci liberano. Ripreso fiato, veniamo condotte da lussuose macchine con vetri oscurati in una specie di villa…no villa e’ riduttivo… un resort…no e’riduttivo anche questo…un villaggio dorato nascosto tra le cristalline insenature della Cote d’Azur. Ci indicano una villa nella villa, dove possiamo accomodarci nell’attesa, e ci lasciano li’. Otto ore dopo capiamo che sta succedendo qualcosa: dalle finestre vediamo una serie di figure scintillanti in costumi dorati, argentati, smeraldo e indaco. Sono una sorta di mimi asessuati, ninfe e fauni che si muovono con estrema eleganza nella macchia marina. Comincia la musica: prima di noi i Gipsy king. Uno dei fauni viene a prenderci e ci conduce silenziosamente, con grandi sorrisi, verso il palco. Durante la splendida introduzione di Nino Rota abbiamo il tempo di capire dove siamo e dove si trova il nostro pubblico: sono sette commensali, praticamente una cena di famiglia, con tanto di nipotina in braccio alla nonna che tra un brano e l’altro, incuriosita dai nostri abiti o forse dal nostro canto, ci corre incontro, ci tocca, ci scruta e poi ci regala un gioiello a testa. Noblesse oblige.

hong kong

V – VECHENZE E PEPPIRI TRA NOI

Se è vero che il “parapanzo” è sempre in agguato, abbiamo imparato che lo sono anche il “peppiro”e la “vechenza”. “Peppiro” e “Vechenza”, due chicche di Rossella, sono stati altri due compagni di viaggio, figli illegittimi della nostra dislessia paperiforme da concerto, insinuatisi clandestinamente nelle strofe delle cover Bocelliane. “Canto della terra”, “Con te partirò” e “A mother’s prayer” sono da sempre nostri cavalli di battaglia, gentilmente presi in prestito dagli omonimi successi planetari di Andrea, spessissimo eseguiti con o senza di lui. Logicamente tra la versione “con” e la versione “senza” le parti vengono ridistribuite tra di noi e cambiano attacchi ed interventi. Così capita che, concentrate sulla propria entrata e sull’esatto controcanto, ogni tanto ci scappi un “sembra davvero il tuo PEPPIRO (alias respiro)”, o una “sogniamo un mondo senza più VECHENZA (alias violenza)”, perché se va in tilt il neurone del linguaggio, l’importante è salvare la rima e l’accordo!

campagna

Z – ZENZERO PER ZANZARE…MA SE C’E’ UN’APE?!

Riporto un dialogo realmente accaduto. Rossella (mentre un minivan ci porta a Castelnuovo Berardenga, suggestivo Borgo toscano dove canteremo la sera): “Sapete, ho letto che lo zenzero si puo’ usare anche contro le zanzare”. Laura: “No scusami, cosi’ e cacofonico; lo zenzero si userà contro le zanzare”. Sistemato il noioso problema estivo delle punture di zanzara durante i concerti all’aperto, entriamo in un portone antico che ci svela una piccola corte medievale su cui affacciano palazzetti d’epoca, terrazze e balconcini, colmi di fiori e lanterne. Lo spettacolo e’ allo stesso tempo familiare e mozzafiato, come solo un borgo italiano sa essere. Via a prepararci che si va in scena e dopo il concerto cena e relax nelle bellissime suite: ma il relax viene improvvisamente turbato da un altro pungiglione alato non autorizzato che si e’ introdotto tra le travi in legno del soffitto antico. C’e’ chi salta in “deshabille’” per cercare di stanare l’ospite con un asciugamano bagnato, chi continua a mangiare noncurante del fatto, mentre Claudia non ci pensa due volte e si attacca al telefono chiamando il nostro referente, l’organizzazione, l’agenzia di riferimento e il concierge. “C’E’UN’APE!” continua a ripetere a tutti imperterrita, e qualsiasi cosa ascolti dall’altro capo del telefono risponde come ipnotizzata “C’E’ UN’APE!”. Intervengo prontamente chiedendole di calmarsi e darci una mano a cacciarla: “C’E’ UN’APE!” e’ l’unica risposta che ottengo. Alla fine un cavaliere senza macchia e senza paura ci libera dalla fiera mitologica, ma la morale e’: non importa che tu sia di fronte ad una za`nzara o ad un’ape. Nel dubbio, lascia perdere lo zenzero e rompi le scatole al prossimo tuo finche’ non l’ha cacciata.

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