*di Bianca Sestini*
Cos’hanno in comune Salvador Dalì e Galileo Galilei? Fino al 30 aprile, in un magnifico palazzo rinascimentale nel centro storico di Siena, il genio di due giganti del passato si contamina in una mostra originale. Dalì a Siena: da Galileo Galilei al Surrealismo, organizzata da The Dalì Universe, propone un viaggio che unisce l’arte del maestro catalano e il sapere dell’astronomo pisano. Il punto di partenza è appunto Palazzo Piccolomini, riaperto al pubblico in occasione dell’esposizione.
Sede per un secolo della filiale senese della Banca d’Italia, l’edificio è noto anche con il nome di Palazzo delle Papesse. Qui abitarono Caterina e Laudomia, sorelle del pontefice Pio II, appartenenti alla nobile famiglia di banchieri della corte papale. Dall’epoca della sua costruzione, nella seconda metà del Quattrocento, passarono vari decenni prima che questa elegante architettura accogliesse come suo ospite Galileo Galilei.
Dopo la condanna del Santo Uffizio, il padre della scienza moderna vi soggiornò su invito dell’Arcivescovo Ascanio II Piccolomini, suo ex allievo e amico. Durante la manciata di mesi che durò la sua permanenza in città, Galilei si concentrò sia sullo studio della volta celeste che sui principi della meccanica. In Dalì a Siena letteratura, matematica, fisica, psicologia del profondo, funzionano da collante tra le figure del sommo interprete del Surrealismo e Galileo.
L’itinerario della mostra si incardina sul binario della curiosità onnivora e insaziabile dell’artista. Sondando i meandri dei suoi interessi si sfila davanti a una selezione di oltre 100 opere di pittura e scultura, illustrazioni, scenografie, pezzi da arredamento. Un Dalì che non fatica a farsi riconoscere tramite spaccati di analisi dirompenti, scenari onirici, una seducente, potentissima simbologia. Ciò che colpisce è l’inquadratura, perché un diverso angolo di osservazione serve per accorgersi di quanto la sua produzione trasudi affascinanti richiami alle leggi che governano la natura e il reale.
Il visitatore non si illuda di scansare i classici interrogativi daliniani condensati nel percorso espositivo. Nel cortile interno di fronte all’ingresso del palazzo, una voluminosa lumaca alata naviga veloce increspando le onde di un fluido indefinito. Un angelo sta in equilibrio sulla sommità del suo guscio, la sezione aurea impressa nella spirale perfetta. La lumaca – creatura foriera di geometria, fatta di un esterno duro e un interno molle – è una delle ossessioni di Salvador Dalì. Una visione che dialoga, a qualche metro di distanza, con l’unicorno che trapassa un muro di mattoni attraverso una voragine a forma di cuore. La donna distesa a fianco dell’animale è Gala, moglie e musa dell’autore. È per lei che dall’estremità del corno sgorga il sangue dell’amore eterno.
La figura femminile per l’artista significa mistero, bellezza, rinnovamento. In Dalì a Siena è uno dei temi più insistenti, insieme al tempo e all’indagine interiore. Che si tratti di omaggiare la Moda (un corpo elegante con un bouquet di rose per capigliatura), di ornare di simboli una Venere scomposta, o di applicare all’icona della dea il collo di una giraffa, il surrealismo daliniano ripone nella donna il ruolo di esegeta del mondo e del senso delle cose. Un compito che calza a pennello al personaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie, soggetto di una sequenza di illustrazioni e di una statua di bronzo luccicante. La sua silhouette salta la corda poco distante da un orologio molle che si liquefà su un albero. Basta guardarlo inclinando la testa a sinistra per individuare il profilo del volto dell’artista nella piega deformata del quadrante.
È questo il genere di sorprese “alla Dalì” che rende speciale l’esperienza a Palazzo Piccolomini. Le suggestioni che hanno nutrito la sua carriera affollano le sale come entità ancheggianti fra mania, consapevolezza e talento rivoluzionario. Dall’arte alla scienza, un andirivieni che innamora.