Dal segno al sogno: l’arte si vede con l’anima

Dal segno al sogno: l’arte si vede con l’anima

 

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Uno straordinario e innovativo progetto denominato AIVES, acronimo di Arte-Innovazione-Visioni-Emozioni-Sensazioni, consente di rendere un’opera d’arte accessibile anche a visitatori con diverse abilità, e perciò fruibile da un’utenza costituita da visitatori vedenti e non vedenti. Già molte strutture museali offrono la possibilità di esplorare le opere da un punto di vista tattile, come sculture o bassorilievi che riproducono quadri: dov’è dunque la differenza? La risposta risiede in due elementi: esperienza ed emozioni. Immaginate di guardare un’opera d’arte come se ci si trovasse al suo interno per provare le stesse sensazioni dei suoi personaggi o rivivere il momento della creazione artistica. Trovarsi nella camera da letto di Vincent Van Gogh, toccare il suo cappello sdrucito, la vecchia sedia di paglia. Quella stanza che è stato il suo rifugio, il luogo in cui poter “vivere e respirare, riflettere e dipingere”. Aprire la finestra ed immergersi nei suoni e negli odori di quella Provenza che l’accolse negli ultimi mesi della sua vita. Oppure essere trasportati nell’epoca degli dei, diventare partecipi di un racconto mitico, poter sentire le vesti leggere, i morbidi capelli e udire le risate gioiose della bella Europa, proprio pochi istanti prima di essere rapita dal toro divino.  Nascondersi dietro la mela assieme al Figlio dell’Uomo di Magritte, respirando la stessa brezza marina piena di sofferenza, di qualunquismo e di vacuità.

Emozioni. Le stesse emozioni che può provare chiunque si trovi davanti ad un quadro o ad un reperto archeologico ammirandone la forma, i colori, la perfezione delle proporzioni, ora possono essere provate anche da coloro che non vedono. Perché ci sono cose che ci accomunano tutti: la capacità di sognare e la capacità di vedere con gli occhi dell’anima. Tutti possiamo sognare e tutti possiamo “sentire”. Tutti possiamo creare la nostra immagine del mondo. “Vedere” un dipinto utilizzando tutti i sensi, scoprendolo lentamente e lasciandosi coinvolgere dalle sue atmosfere, dal suo messaggio poetico, dalla potenza delle sue immagini. Lentamente prende forma, la sua percezione suscita emozioni, i diversi materiali amplificano le sensazioni tattili, l’audio trasporta nell’idea del quadro, nei presupposti che ne segnano l’origine. Un filo, dunque, che lega l’esperienza sensoriale alla passione dell’artista.

Il progetto AIVES nasce nel 2015 da un’intuizione di Elena Console, amministratore della TEA; un’illuminazione avvenuta proprio in un momento in cui l’azienda stava attraversando un momento di crisi, comune a molte altre imprese, fondata sull’esigenza di diversificare la propria offerta. Il percorso è stato virtuoso: dopo un’attenta analisi e una verifica sull’esistente, ecco la messa a sistema della parte tecnologica, la registrazione del marchio ed il deposito del brevetto. Poi nel 2017 il finanziamento con i fondi POR Calabria grazie al quale il progetto è decollato. La sfida è sembrata subito interessante: quando si parla di arte, di bellezza e di proporzioni, il senso che supporta l’essere umano è senz’altro la vista. Ma se l’utente vedente potesse toccare il dipinto? Non un bassorilievo, ma proprio il dipinto, gli oggetti e i personaggi rappresentati. E non solo: se avvicinandosi al dipinti si sentissero anche i suoi odori? Se il dipinto stesso si raccontasse e avvolgesse il visitatore con le sue atmosfere  e suggestioni, facendogli rivivere quel periodo, quei luoghi, quei personaggi?

Replicare il contenuto dell’opera d’arte, cioè le azioni, le emozioni e le sensazioni in essa ritratte, risvegliando le memorie implicite e l’immaginazione dell’osservatore: questo l’obiettivo raggiunto grazie ai contenuti ed alla tecnologia.

Il processo che porta alla realizzazione di un dipinto multisensoriale prevede diverse fasi. Quando un dipinto viene trasformato in rilievo tattile muta intrinsecamente anche l’espressione artistica originaria, che da visiva converge verso l’arte plastica. Nel passaggio di riproduzione si va a perdere anche l’autenticità dell’opera d’arte, quella che W.Benjamin chiama l’aura. L’obiettivo rimane quello di veicolare il contenuto dell’opera superando quelle barriere cognitive che negano ad un cieco l’accesso all’arte visiva. Il dipinto tattile che viene realizzato è, quindi, una re-interpretazione dell’originale, un compromesso fra tecnica di produzione e fedeltà dei contenuti. I dipinti realizzati con la metodologia AIVES rispettano la polimatericità che idealmente il pittore ha raffigurato nei suoi quadri. La sfida di trovare una riproduzione dell’opera include intrinsecamente anche quella di rappresentare materiali diversi. E da qui lo studio delle possibili soluzioni tecnologiche, a cominciare dalla stampa 3D.

Gli acrilici, resine bifasiche e filamenti speciali sono stati oggetto di attenta analisi al fine di individuare quelli le cui caratteristiche fossero molto simili ai corrispettivi materiali reali. E poi i test con i possibili utenti, sia ciechi e ipovedenti che normodotati, per capire quale fosse la loro percezione tattile dei materiali “artificiali” rispetto a quelli “naturali”. Il risultato ha dimostrato che, dove possibile, gli utenti preferiscono toccare il materiale reale che rientra nella sfera di conoscenza ed esperienza tattile quotidiana dell’individuo. Ed è anche emerso come il tatto sia una necessità per chi non vede e una scoperta per chi vede, che ha così la possibilità di cogliere alcuni aspetti della realtà che sfuggono alla vista. Per questo motivo i quadri sin qui prodotti sono stati realizzati secondo un approccio artigianale.

Le soluzioni tecnologiche adottate per la fruizione multisensoriale sono state progettate assieme agli stessi utenti disabili, seguendo un design partecipativo e svolgendo studi ergonomici per permetterne l’utilizzo a persone di ogni età e altezza, fra cui utenti in carrozzina. Grazie alla voce-guida che accompagna il visitatore nell’esplorazione dell’opera, la fruizione può essere svolta in piena autonomia senza l’ausilio di un accompagnatore o guida specializzata. L’utente è così libero di godere del piacere artistico secondo i propri tempi e in modo autentico.

È possibile scegliere tre diverse modalità di fruizione legate all’opera o al pittore: descrittiva, emozionale, curiosità. Tali modalità si attivano attraverso appositi pulsanti posti alla base del quadro, di forma e colore diverso così da facilitarne la riconoscibilità.  La modalità descrittiva guida l’utente alla comprensione dei singoli elementi rappresentati: alla base del quadro vi sono infatti dei sensori in grado di rilevare la posizione delle mani ed attivare la relativa descrizione verbale. Le altre due modalità introducono una fruizione multisensoriale in cui gli effetti di vento, aromi e vibrazioni stimolano gli altri sensi. Per ogni modalità si attiva contestualmente anche una narrazione visuale caratterizzata da video illustrati. L’utente partecipa così ad una vera e propria esperienza artistica sinestetica.

Una bella novità, dunque, che assomma arte, tecnologia e inclusione sociale. Ma anche la valorizzazione piena del patrimonio culturale che rappresenta un’occasione per attivare il dialogo tra passato e presente, tra culture e generazioni differenti, tra abilità diverse. Un’occasione di rigenerazione per la collettività.

 

 

B O X   A I V E S

 

I protagonisti: le donne e gli uomini di AIVES

Dietro tutto questo, persone. Tante. Entusiaste. Motivate. Un pool di imprese ed enti di ricerca uniti in questa avventura: TEA, Omniarch, Studio Rubino, IRIFOR ed Unical. C’è sempre un sognatore, il visionario di turno che trascina, bacchetta, irretisce, organizza: ha un nome ed è Elena Console, da oltre vent’anni al timone della TEA, con i suoi ragazzi, un po’ folli anche loro: Rosella Tassone e Francesca Console, il cuore dell’attività manageriale, Paolo Palaia ed Edoardo Tassone, l’anima tecnologica, Chiara Donato, Giorgio Faini e Stefano Orsetti, lo zoccolo duro dei creativi. E poi l’Omniarch, con il suo direttore scientifico, Stefania Mancuso, l’archeologa, e Monica Iannazzo, storico dell’arte, le donne dei contenuti, con Silvia di Napoli e Francesco Sestito a supporto.  Lo Studio Rubino, con Giuseppe Rubino, Paola Rotella, Claudia Scalzo, Noemi Sgammotta, Maria Concetta Fiorentino. La sezione di Catanzaro di IRIFOR, l’istituto di ricerca dell’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti, con Luciana Loprete, il faro che ha guidato AIVES dal suo nascere, con i suoi suggerimenti, la sua attenta verifica di ogni dettaglio, la sua appassionata partecipazione, e i suoi ragazzi: Gianluigi Melina, Daniela Taverna, Ilaria Mascaro, che hanno curato e seguito con pazienza e professionalità tutte le attività di sperimentazione. E ancora, il Dipartimento di Ingegneria Meccanica Energetica e Gestionale della Unical, con Fabio Bruno in veste di responsabile scientifico, Loris Barbieri, Valentina Rossetti e Vincenzo Cosentino, ad esplorare questo insolito mondo fatto di tocchi e di tasti per arrivare a cucire l’abito di questo “oggetto misterioso”.

In questo cammino ci hanno affiancato fattivamente l’Istituto Cavazza di Bologna, diretto da Fernando Torrente, ed il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, diretto da Paolo Giulierini, presso i quali sono state effettuate le sperimentazioni dei prototipi realizzati; Fabio Fornasari, direttore artistico del Museo Tolomeo di Bologna, e Lucilla Boschi, Coordinatore della Commissione tematica Accessibilità museale della ICOM Italia (International Council of Museums) associato all’UNESCO.

 

I valori aggiunti

Perché parlare di “valori aggiunti”? AIVES è, in primo luogo, un intreccio di cultura, tecnologia e sociale unico nel suo genere. Non solo l’attenzione alla disabilità, ma anche il coinvolgimento attivo di una categoria “particolare” quale quella dei detenuti. Si tratta di alcuni reclusi della casa circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro che hanno materialmente realizzato due opere tattili, il “Ratto di Europa” ed il “Figlio dell’Uomo” di Magritte. I laboratori coinvolti sono stati quello di ceramica (Alfio, Mario, Raffaele, Bruno, col supporto del prof. Giuseppe Nisticò, che hanno realizzato il bassorilievo in argilla da cui è stato ricavato lo stampo in gesso usato per la creazione delle sagome) e quello di cucito (Antimo, Agostino, che hanno provveduto a rivestire le forme). Un gioco di squadra reso possibile dalla sensibilità di Angela Paravati, direttrice del penitenziario.

 

 

 

 

L’articolo è stato curato da:

Elena Console, Chiara Donato, Rosella Tassone – TEA sas

Stefania Mancuso – OMNIARCH sas

Paola Rotella, Giuseppe Rubino – STUDIO RUBINO Srl

Luciano Loprete – IRIFOR Catanzaro

Loris Barbieri, Fabio Bruno, Vincenzo Cosentino, Valentina Rossetti – DIMEG UNICAL

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