di Maria Antonia Danieli
Il 9 Gennaio è uscito nelle sale italiane un nuovo adattamento dell’ormai classico della letteratura per ragazzi Piccole Donne, scritto e diretto questa volta da Greta Gerwig, al suo secondo lungometraggio da regista dopo il precedente successo di Ladybird (2017).
Il film riprende le note vicende dell’omonimo romanzo pubblicato nel 1868 dalla scrittrice Louisa May Alcott e destinato fin da subito ad entrare nel cuore di numerose generazioni di grandi e piccini. La Gerwig decide di iniziare a raccontare la storia delle sorelle March dall’età adulta: Jo è a New York e scrive racconti per sostenere la famiglia; Amy è a Parigi dove studia pittura; Meg è sposata e ha abbandonato ormai da tempo i sogni da attrice; Beth passa le sue giornate a suonare il piano mentre la sua malattia si aggrava. Ben presto però, al presente della fine della giovinezza viene affiancato il passato dell’infanzia attraverso una serie di continui flashback in cui la regista utilizza delle soluzioni stilistiche e registiche degne di nota. Spesso perciò gli occhi di Joci riportano nell’album dei ricordi tinteggiato dai colori pastello del paesaggio e dei sontuosi abiti (al contrario dell’età matura in cui spesso a caratterizzare abiti e ambienti sono i colori cupi) e fatto di sorellanza, piccoli e grandi litigi e prime infatuazioni per il vicino di casa Laurie.
Il ritmo della pellicola è perciò tutto scandito da questo continuo dinamismo tra il passato e il presente che ci permette ancor di più di notare il cambiamento, la crescita, il peso e la consapevolezza delle decisioni delle quattro sorelle, anche grazie alla straordinaria capacità della Gerwig di saper splendidamente dipingere l’interiorità femminile, di cui aveva già dato prova con Ladybird e qui certamente aiutata dalla materia prima del romanzo, ora riuscendo a rappresentare una varietà di personaggi femminili dai caratteri differenti: la ribelle e femminista Jo, la materna Meg, la dolce Beth e l’altezzosa Amy. Il film si delinea così come un grande inno alle donne e alla femminilità intesa in tutte le sue forme; la Gerwig infatti fa propria la profonda lezione femminista inscritta nelle pagine della Alcott. «Le donne hanno una mente, hanno un’anima non soltanto un cuore! Hanno ambizioni, hanno talenti e non soltanto la bellezza! Sono così stanca di sentir dire che l’amore è l’unica cosa per cui è fatta una donna […]»: tali sono infatti le parole pronunciate da Join una delle tante scene connotate emotivamente di cui il film è ricco.
Degna di nota è poi la splendida colonna sonora che accompagna il film composta da Alexandre Desplat, candidata giustamente sia alla 77esima edizione dei Golden Globes che alla 92esima cerimonia degli Oscar.
La Gerwig può contare inoltre su uno splendido cast: Jo è interpretata magistralmente da Saoirse Ronan, alla quale la regista riserva nuovamente il ruolo di protagonista come nel precedente Ladybird; brave anche Florence Pugh che interpreta Amy e Laura Dern che veste i panni della madre delle quattro sorelle; Timothée Chalamet (anche lui alla seconda collaborazione con la Gerwig), che interpreta invece il vicino di casa Laurie, si conferma ancora una volta come uno degli attori più interessanti ad Hollywood in questo momento; da citare poi il premio Oscar Meryl Streep nel ruolo della ricca zia Marge.
La pellicola si delinea già perciò come una delle più belle del 2020. Dopo le due candidature ricevute ai Golden Globes (Miglior colonna sonora originale per Alexandre Desplat e Miglior Attrice in un film drammatico per Saoirse Ronan) il film ha ricevuto 6 candidature agli Oscar tra cui Miglior Film, Miglior sceneggiatura non originale per la Gerwig e Miglior attrice protagonista per la Ronan.