– di Vittorio Pio –
“Tornare ai Beatles sarebbe come tornare a scuola. Ma io non sono quello delle rimpatriate. E’ tutto finito.” (John Lennon)
Che tristezza quel 10 aprile del 1970. Per tanti, rappresentò il commiato dalla gioventù, il giorno in cui ci si risvegliò dal sogno, il giorno in cui ci si ritrovò a congedarsi dagli anni Sessanta, con il loro sogni di rivoluzione, di cambiamento, scoperta e meraviglia. Quello fu anche il giorno in cui i Beatles, ufficialmente, si sciolsero. “Paul is quitting The Beatles“, scrisse in prima pagina il Daily Mirror, quasi a nove colonne, ricavando la notizia da alcune risposte battute a macchina da Mc Cartney, che stava promuovendo l’uscita del suo primo album solista. Sir Paul se ne andava dai Beatles “per ragioni personali e professionali” e la storia mestamente finiva. Ci vorrebbe quasi uno spazio enciclopedico per riassumere cosa i Fab Four abbiano rappresentato nella storia della musica, in una scia luminosa che continua ancora oggi e che probabilmente non terminerà mai. Nella loro breve ma fulminante parabola, durata circa di 8 anni, i Beatles avevano cambiato il volto non solo dell’intera musica popolare, ma anche prodotto un’influenza irreversibile nell’ambito della moda, costume, spiritualità e persino nella politica. Tant’è che lo scrittore Timothy Leary si trovò a ribadire che: “I Beatles sono dei messia. Prototipi di una nuova razza di uomini liberi e gioiosi. Agenti dell’evoluzione inviati da Dio, dotati di misteriosi poteri e in grado di dar vita a una nuova specie di esseri umani”.
“I Beatles erano tutto quello che è capitato. E’ questione di imparare che alti e bassi sono la stessa cosa. Ogni cosa continua a cambiare, c’è sempre un equilibrio e qualunque cosa accada te la sei cercata. La morale della storia è che se accetti gli alti, dovrai passare anche attraverso i bassi.” (George Harrison)
E invece, come normali esseri umani, i quattro avevano semplicemente litigato e il gruppo, venerato da milioni di fan in tutto il mondo, era arrivato al capolinea rispetto a quel fulminante esordio: è l’agosto del 1962 quando John Lennon (voce, chitarra ritmica), Paul McCartney (voce, basso), George Harrison (voce, chitarra solista) e Ringo Starr (batteria, voce) si ritrovarono per la prima volta a suonare insieme al Cavern, fumoso club di Liverpool. Da allora sono passati decenni in cui i ‘Fab Four’ hanno venduto oltre un miliardo di dischi, record condiviso con un altro mito come Elvis Presley, e sono entrati nel Guinness dei primati come il complesso musicale di maggior successo commerciale di sempre. I Beatles, esaltati anche dalla rivista Rolling Stone come i più grandi artisti di tutti i tempi, erano figli della working class, quasi tutti da situazioni familiari disastrate. Non hanno denaro, né una vera famiglia, ma hanno un’energia unica, e una passione che li tiene in vita: la musica. Il gruppo quindi diventa la loro famiglia, con tutti i suoi equilibri fragili. Ma c’è anche un quinto Beatles, nell’ombra, si chiama Brian Epstein. Possiede un negozio di dischi ed è lui a capire per primo le potenzialità del quartetto e creare la loro immagine. Li fa vestire uguali e tagliare i capelli allo stesso modo sbarazzino. Diventano un culto. Un gruppo in cui in tanti si riconosceranno.
“Sì ero un Beatle. Sì abbiamo inciso delle canzoni bellissime insieme. Sì amo quei ragazzi. Ma questa è la fine della storia.” (Ringo Starr)
Please please me esce nel 1962 e di lì diventano inarrestabili, toccando l’apice del loro successo a cavallo fra il 1966 e il 1968. Il ‘66 è infatti l’anno di Revolver, con il quale il gruppo entra in un periodo radicalmente nuovo.
C’è da dire che il nuovo tipo di musica nato dalla mente di Lennon & soci è dovuto solo parzialmente alla creatività artistica dei membri della band: Lennon scopre Lsd e acidi, mentre McCartney sperimenta la ricerca musicale in senso più classico, stroncando duramente quelle suggestioni artificiali. Il risultato è comunque psichedelico e straordinario, fra suoni frastagliati e testi meno adolescenziali: sarà con Revolver che i Beatles cominciano a far emergere nella propria musica influenze diverse e addirittura antitetiche, con le quali s’andavano esponendo i tre compositori del gruppo a uno spessore assai differente rispetto a ciò che il pop produceva in quegli anni. L’anno successivo arriva il manifesto iconoclasta rappresentato da Sgt.Pepper, ma anche la morte improvvisa di Epstein a causa di un mix letale di farmaci ed alcool: sarà l’inizio della fine del gruppo. I quattro decidono di gestirsi da soli e questo si rivelerà alla stregua di un grave errore con inevitabili complicazioni finanziarie. Epstein sembrava conoscere tutte le mosse giuste che nessun altro conosceva, vedeva cose che nessun altro vedeva. La sua visione d’insieme era incredibile, creò una cultura che non esisteva e questa mancanza di equilibrio iniziò a creare tensioni e litigi.
“Perchè cantate come americani e parlate come inglesi? Perchè così vendiamo di più.” (John Lennon)
Sulla scena apparve anche Yoko Ono, la nuova musa di Lennon, piazzata perennemente in studio di registrazione alterando lo stato delle cose, carico a cui si aggiungerà poi quello di Linda Eastman, la fidanzata di Paul, in seguito adorata moglie, che detestava Lennon in ogni sua sillaba. Insomma una catastrofe, il mese successivo a quell’annuncio di Mc Cartney, che nel frattempo aveva già pubblicato il suo primo album da solista, usciva invece Let It Be, ultimo atto postumo. La situazione all’interno del gruppo, allora, era così complicata che alla fine i nastri delle sedute di registrazione erano rimasti abbandonati negli armadi, a chiudere l’album più difficile della storia del gruppo fu dunque chiamato Phil Spector, il leggendario produttore scomparso di recente, convinto da Lennon e Harrison a mettere le mani sui nastri, e che però lo fece a modo suo, inserendo tra le altre cose i famosi archi in “The Long and Winding Road” a insaputa di Paul McCartney, che non mandò molto giù la decisione e decise di pubblicare la sua versione “naked” nel 2003, per riportare tutto allo stato delle cose. E con milioni di tonnellate di inchiostro già versate altrove, vale solo la pena di sottolineare che i Beatles furono le prime stelle globali di un successo che riguardò non solo la musica ma anche il business, con un marketing avanzato che fece del loro nome un marchio intramontabile. Ancora adesso rappresenta una prodigiosa macchina economica, capace di tramutare i Fab Four nel simbolo indiscusso del Regno Unito nel mondo, con svariati tentativi di imitazione: nessuno andato a segno.