di Fabio Lagonia
La maestosa roccia a forma di dinosauro, o di drago che si abbevera, conficcata con solennità nel mare d’Islanda, ci conduce in un mondo magico del profondo Nord. Secondo un’antica leggenda quel masso un tempo fu un gigantesco troll intento ad attaccare una vicina abbazia ma, abbagliato dal sole all’alba, rimase pietrificato così come oggi appare alla vista di visitatori meravigliati o all’obiettivo di fotografi che qui giungono appositamente, da ogni parte del mondo, per catturarne la monumentale bellezza. In realtà quel dinosauro di pietra è ciò che resiste di un vulcano ormai eroso. Ma resta forte e intatta, anzi potentemente icastica, la suggestione che tale paesaggio diffonde con i suoi rimandi all’imprevedibilità della natura. E nessuna terra, forse, è più imprevedibile dell’Islanda dove il cielo, governato prevalentemente dal buio, a fine anno regala le spettacolari luci del Nord; dove ghiaccio e onde danzano insieme; dove le cascate impetuose ci offrono il “silenzio” attraverso lo strepitio del loro rumore; dove strade improbabili e difficili da percorrere conducono, alla fine, a cogliere i suggestivi colori del tramonto artico. Sentirsi piccoli davanti alla maestosità della natura: che già significa aver realizzato la consapevolezza di esserne la parte privilegiata, e perciò responsabile della bellezza etica ed estetica del mondo. Una consapevolezza che sarà tanto più liberatoria quanto più sarà informata ad una prospettiva universale e ad uno sguardo che si posi oltre la limitatezza del nostro tempo storico.
Buon duemilaventi!