*di Elia Banelli*
Pubblicato nel 1995, il terzo e ultimo capitolo della saga di “House of Cards”, divenuto un classico del political thriller che ha ispirato l’omonima straordinaria serie tv, non può certo mancare tra i lettori che si sono appassionati ai primi due volumi firmati dallo scrittore britannico Michael Dobbs. In questa nuova storia sono trascorsi dieci anni da quando, grazie a una lunga serie di sotterfugi e manipolazioni, Francis Urquhart ha raggiunto l’apice del potere e si prepara a diventare il primo ministro più longevo nella storia del paese. Al contempo lo spettro della vecchiaia incombe, è tempo di bilanci e di pensare a come guadagnarsi un posto nella Storia. Ma nel corso della sua impietosa scalata il nostro FU si è fatto molti nemici, e oggi si ritrova con un branco di lupi alle calcagna pronti ad azzannarlo, mentre i molti scheletri da tempo sepolti nell’armadio minacciano di saltare fuori.
Nel suo ultimo atto, Urquhart è costretto ad affrontare un’inaspettata crisi di governo che coinvolge lo scacchiere internazionale: deve operare nella questione cipriota, complicata ulteriormente dal ritrovamento di certi giacimenti petroliferi a cui sono in molti ad ambire. Ma il petrolio non è l’unico segreto dell’isola: Urquhart è legato a questa terra da una tragica vicenda personale del suo passato, pronta a perseguitarlo. Come prevedibile, l’instancabile FU non è pronto a farsi da parte, né a cedere di fronte a chicchessia.
È ancora disposto a tutto e determinato a lasciare il segno. Ci riuscirà? Anche io come tanti altri lettori sono rimasto deluso dal terzo capitolo, purtroppo non all’altezza dei primi due. A parte l’incongruenza di molti dettagli rilevanti (nei primi due volumi la moglie di Urquhart si chiama Mortima, nel terzo improvvisamente diventa Elizabeth, senza che venga mai esplicitato se si tratti di una nuova concubina o la stessa) tra cui l’improvvisa scomparsa della figura del Re, così centrale nel secondo capitolo tanto da rischiare di distruggere la carriera dello stesso protagonista. A complicare il quadro una lunga e noiosa matassa di personaggi che rende lenta e farraginosa la lettura, oltre che difficile la comprensione dei vari punti di vista impegnati nei dialoghi.
Rispetto ai tanti (troppi) difetti, la scrittura è sicuramente più matura dei primi due, a discapito però della scorrevolezza complessiva della trama, zavorrata da lunghe digressioni sulla situazione politica dell’isola di Cipro che probabilmente potevano essere di grande attualità a metà degli anni Novanta, ma che nel 2021 risultano un po’ fuorvianti e di scarso interesse geopolitico (questa però non è certo colpa dell’autore). Alcuni riferimenti espliciti al Giulio Cesare di Shakespeare e un finale sicuramente di grande impatto, seppur poco credibile, non salvano un libro nel complesso deludente. Consigliato comunque a chi vuole chiudere in bellezza la trilogia, da evitare per chi intende approcciarsi per la prima volta solo all’ultimo capitolo.
Buona lettura.