di Elio Di Bella
La Soprintendenza siciliana del Mare da alcuni anni mostra un grande interesse verso lo specchio d’acqua antistante la costa agrigentina. I relitti di antichi naufragi raccontano agli archeologi un passato di frequentazione marina che fa pensare che le coste di questo angolo della Sicilia hanno richiamato, fin dai tempi più antichi, i popoli più potenti, e che i legami con i popoli del Mediterraneo, qui, sia dal punto di vista etnico, che commerciale, sono stati sempre intensissimi.
I popoli dell’Egeo furono, secondo le ricerche storiche, i primi stranieri che occuparono le coste del territorio dove poi nel 580 a. C sorse Akragas. La tradizione leggendaria dei rapporti fra la Sicilia e Creta, riportata da Erodoto e da Diodoro, vuole che Kamikos, la capitale del re indigeno Kokalos, costruita per lui dall’artefice Dedalo, si trovi proprio in questa parte della Sicilia. A Kamikos avrebbe trovato la morte il re di Creta Minosse, venuto in Sicilia per riprendere con sé Dedalo, fuggito dalla prigione di Cnosso nella quale era stato rinchiuso per aver favorito i mostruosi amori fra la moglie di Minosse e un toro, dai quali era nato il Minotauro. Leggende che ci riportano alla fine del XV secolo a.C. quando la Sicilia si integrò nei circuiti commerciali mediterranei grazie ai Micenei. È probabile che gruppi umani provenienti dall’Oriente si siano insediati stabilmente nell’Isola, contribuendo alla gestione di grandi empori commerciali . Uno di questi grandi empori commerciali è stato scoperto a Cannatello, una contrada marina di Agrigento. Qui c’era un emporio commerciale inserito nella rotta micenea che nel XIII sec. collegava Cipro alla Sicilia ed era uno scalo importante per la commercializzazione del salgemma e dello zolfo di cui era ricca la zona.
Una ricchissima bibliografia storica fa fede della marittimità del litorale sudoccidentale della Sicilia fin dalle epoche più remote , e, per tutti, basterebbe citare il volume di Gaetano Maria Columba, pubblicato nel 1906, dove si ricorda che il porto agrigentino, posto sul fiume e nei pressi del quale sono stati trovati sia gli avanzi di antichi moli, sia le rovine dei magazzini che ivi sorgevano, faceva parte di un imponente circuito commerciale, operante, oltre che con la Grecia, anche con Cartagine.
Agrigento nasce vicino al mare e rimane fino alla conquista araba molto vicina al mare.
La sua prima moneta riporta il simbolo della città: un granchio.
La parola greca Χηλαι (granchio) può significare sia le chele del granchio, che i bracci di un porto e, il granchio verrebbe a essere una allusione al porto di Akragas e alla sua vocazione marittima.
La scelta del sito per la fondazione di Akragas fu particolarmente felice. Lo comprese Polibio che loda la città in quanto vicina al mare “partecipa di tutti i vantaggi, che dallo stesso provengono”. Secondo Diodoro Siculo, la città divenne presto ricca e splendida grazie ai commerci che esercitava con l’Oriente e con la vicina Cartagine.
Virgilio immagina che Enea dal mare, facendo il giro della Sicilia da oriente verso occidente, avvisti Akragas: “Molto da lungi il gran monte Akragante vedemmo, e le sue torri e le sue spiagge”. La città anche da lontano faceva bella mostra delle sue mura inespugnabili, ma anche delle sue spiagge. La frase di Virgilio scolpisce i luoghi, e chi li guarda dal mare riceve precisamente l’impressione di un mondo legato profondamente alla costa.
Nel V° secolo a.C. il filosofo agrigentino Empedocle definiva il porto di Akragas « augustissimo » e la flotta del tiranno Agrigentino Terone sconfiggeva i Cartaginesi nel porto di Imera, nel corso della celebre battaglia che vide insieme Akragas e Siracusa sconfiggere Cartagine.
Durante la dominazione romana in Sicilia, Cicerone, nel noverare i furti del pretore romano Verre, accenna alla copiosa quantità di frumenti esportata dall’emporio agrigentino, insieme a sale e zolfo. Ad inserire la città in una delle più frequentate rotte del commercio del Mediterraneo è valso per molto tempo infatti lo zolfo, ma anche il sale, prezioso nei vari impieghi (alimentare, terapeutico, di conservazione e quindi industriale).
“Fin dall’epoca micenea il fiume Platani (non lontano da Agrigento) era stato via abituale per il trasporto del salgemma verso i mercati del Mediterraneo; e la distruzione di Gela (280 a.C.) e la scomparsa di Eraclea (I secolo s. C.) erano valse a convogliare sull’emporio agrigentino tutta l’ampia produzione destinata all’esportazione”, ha scritto Illuminato Peri.
Durante il periodo romano l’emporium di Agrigentum molto famoso e Strabone, il geografo vissuto al tempo di Cesare e di Augusto, testimoniò che quello di Agrigentum era il più notevole scalo della costa meridionale dell’isola. Quando poi Sesto, figlio di Pompeo, fu sconfitto da Ottaviano, nel 35 a.C. Agrigentum cambiò padrone e restò nella condizione di sottomessa, perdendo anche la sua importanza marittima. Si trattò pur sempre di una decadenza relativa, se è vero che anche al tempo delle invasioni barbariche, secondo una testimonianza di Procopio, mentre Totila si apprestava a riacquistare i perduti domini, le navi di Agrigentum fornivano al Papa Vigilio, nel sesto secolo, abbondante quantità di frumento, uomini e legni da carico.
L’antico emporion della polis agrigentina, fu approdo della città sino all’epoca romana e bizantina.
Lo storico Tommaso Fazello notò nell’area della foce dei saxa quadrata, resti delle banchine del porto classico che si estendeva lungo le sponde del fiume Akragas. Certamente, come era uso tra gli antichi, vi erano grandi ‘hangar’ dove erano tirate a secco le navi militari e banchine per le attività commerciali. D’altra parte, come sottolinea lo storico Schubring, il naviglio mercantile dell’epoca antica non richiedeva grandi attrezzature portuali, pertanto l’emporium agrigentino fu piuttosto un semplice ancoraggio o meglio un epileion come lo chiama Strabone, sufficiente al commercio esercitato dalla città.
Con la decadenza dell’Emporium di epoca romana, venne invece utilizzata una spiaggia qualche chilometro a ponente, dove sarebbe poi sorto il porto dell’attuale Porto Empedocle. Questo nuovo approdo venne utilizzato soprattutto a partire dall’occupazione araba della città. Su questa costa, la presenza, nel costone marnoso che delimitava a nord la spiaggia, l’erosione carsica ha dato forma a grandi fosse che sono state utilizzate sin da IV secolo come “buche da grano”, ossia come magazzini naturali per il frumento. Una strada dalla collina – dove venne edificata dagli arabi la nuova città – la collegava al Caricatore arabo. I caricatori erano soprattutto punti di imbarco e di sbarco delle derrate, piuttosto che delle strutture marittime. Tali derrate venivano portate dagli uomini di mare, che si inoltravano in acqua per portare le merci a spalla sino a delle barche che poi raggiungevano i bastimenti più distanti.
Divenuta capitale dei Berberi, Agrigento venne a trovarsi in discordia con Palermo e le navi da guerra agrigentine destarono grande preoccupazione presso l’esercito palermitano che decise di ritirarsi subito dalla lotta . Durante gli assalti dei Normanni gli Agrigentini si distinsero per il loro grande valore. In una di queste battaglie però Ibn-al-Wend, che era stato uno degli strenui difensori dell’araba Kerkent (da cui Girgenti) durante i primi assalti Normanni, perì combattendo coraggiosamente.
Con l’arrivo dei Normanni, che conquistarono la città nel 1092, sottomettendo i musulmani e riportando ad Agrigento la fede cristiana, “la città nostra presentava all’entrar dei normanni un grande movimento commerciale ed industriale e fecondo di pubblica e privata ricchezza – ha scritto lo storico agrigentino Giuseppe Picone nelle “Memorie storiche agrigentine” – La marina nostra si raccolse nel sito ove sorge Porto Empedocle ed ivi scavate nella marna compatta ampie e profonde fosse e costruiti magazzini vi si serbavano i grani e qualunque specie di derrate che esportavansi o per l’estero o per cabotaggio.
Ancora alla fine dell’undicesimo secolo, Edrisi, famoso geografo arabo, nel suo celebre libro di geografia generale della città di Agrigento, che in quel periodo veniva chiamata Girgenti, scrive “ Quivi si adunano le navi e le brigate… Ne’ mercati di Girgenti si ritrova tutta sorte di lavorìi, e tutte specie di derrate, e di merci…Per l’immensa copia delle derrate che vi affluiscono continuamente, egli avviene, che tutte le navi grosse che vi approdano, compian quivi il carico loro, entro pochi giorni, e n’abbian anco di avanzo”. Ancora alla fine del primo millennio quindi Agrigento godeva in Sicilia e nel Mediterraneo di un prestigio incontrastato per i suoi traffici marittimi.
Divenuta città demaniale, Girgenti strinse importanti rapporti commerciali nel XII secolo con Senesi e Amalfitani che giunsero nella terra agrigentina per esercitarvi i loro commerci e i loro traffici e parecchi di loro rimasero a lungo nei centri urbani della provincia.
Nel corso delle Crociate non mancò il contributo dei cristiani di Girgenti, ma nel 1194, proprio durante quelle guerre i cavalieri teutonici, trovarono un pretesto per impadronirsi della Città dei Templi e del suo porto, ritenendolo fondamentale per i traffici commerciali ma anche come presidio militare.
Dopo la Sicilia passò sotto il potere degli Angioini e vennero gli anni cruenti della guerra del Vespro e le galee degli Aragonesi andavano e venivano dai porti di Licata, Sciacca e Girgenti. Sono gli anni in cui si distinsero il barone Luigi Mugnos da Licata, che capitanava una galea che partecipò a molte battaglie e Federico ed Enrico Incisa di Sciacca, che ebbero parte nella difesa della loro città dagli assedi del tempo. Un documento storico indica nella marina di Girgenti nel XIV secolo la presenza di una torre medievale, ma presto non fu sufficiente né per l’avvistamento, né per la difesa.
Nel sedicesimo secolo, a causa della pirateria barbaresca e dello sviluppo delle armi da fuoco, per difendere meglio il litorale agrigentino, il Vicerè spagnolo Don Giuseppe Vega fece edificare nel 1554 una torre di avvistamento (detta di Carlo V), dotata di cannone, che è tuttora visibile. Dopo la costruzione del Molo, nel Settecento, divenne la base di appoggio della difesa della riviera meridionale, perché da allora la costa venne pattugliata da due navi da guerra che partivano da Siracusa e Trapani e vi ritornavano dopo essere arrivate al porto di Girgenti. In conseguenza vi fu un calo delle incursioni barbariche.
Un diploma conservato nella biblioteca del Senato di Palermo definì il Caricatore di Girgenti come “lo migliuri del Regno”.
Un altro storico agrigentino ha descritto in termini entusiastici il successo del porto agrigentino dall’epoca medievale agli inizi del Rinascimento: “Il nostro caricatore era l’unico in tutta la meridionale riviera di sicilia e nella nostra rada approdavano moltissimi legni che in pochi giorni fornivano il loro carico ed espandevano i nostri prodotti agricoli fin nell’Oriente per cagione della guerre della Crociate e da quelle estreme regioni importavano fra noi quelle merci preziose e quelle ricchezze che furon talmente fra noi profuse che nel secolo XV dal governo un infrenamento al lusso delle donne girgentine”.
Non mancavano però le difficoltà. Per lunghi secoli la pirateria dei Barbareschi fece il bello e il cattivo tempo. La più antica incursione barbaresca alla marina di Girgenti ricordata sino ad oggi dagli storici avvenne il 5 maggio 1599. Qualche anno dopo, nel 1615, al largo di Girgenti si scontrarono le galee dell’ordine di Malta e quelle Turche. Poi le incursioni barbaresche terminarono e vi fu una nuova ripresa dei commerci.
In un Portulano dei primi anni del 1700, conservato nella Biblioteca “lucchesiana” di Agrigento, leggiamo «la fortezza con il caricatore della città di Girgenti, che tiene buonissima artiglieria…a magazzini dove ripostono i fromenti.. .e dove si ormeggiano bastimenti latini di salme 300 e pure di 400, basta che si possono servire di palmi 9 di fondo, con haver poca zavorra.. . La città di Girgenti è distante dalla marina miglia 4, quale è abbondantissima di ogni cibo, perciò detta città del sorgitore…».
Nel periodo in cui in Sicilia governava la monarchia borbonica comincia un risveglio economico e si ebbe quindi la necessità di dare nuovo impulso all’attività del porto con l’ampliamento dello scalo e venne realizzato un nuovo molo di forma poligonale, terminato nel 1763. Così, mentre il porto di Messina decadeva, come scrive il Picone, «in quel novello asilo di navigli, unico nella riviera meridionale dell’Isola, si videro sventolare le bandiere di tutte le Nazioni».
Con la costruzione del nuovo molo a Porto Empedocle, voluta dal Vescovo di Girgenti Lorenzo Gioeni, la vita nel porto agrigentino assunse sempre di più l’aspetto di una moderna attività industriale.