di Pietro Fiammenghi
La sveglia trilla inesorabile. Socchiudo stancamente gli occhi e compio il primo gesto della giornata: girarmi sull’altro fianco. Passa ancora qualche minuto e mi costringo a compiere l’immane sforzo: alzarmi dal letto. Barcollando nella penombra stantia della camera da letto, indosso la camicia bianca lasciata sulla sedia. Scivolo dentro i pantaloni scuri e lasciandomi guidare dagli automatismi della quotidianità, lascio che le mani annodino la cravatta. Infilo la giacca del completo grigio, le scarpe nere, l’orologio d’acciaio al polso. Apro l’anta dell’armadio, l’ampio specchio che internamente la riveste, mostra una figura slanciata, calata in un anonimo abito scuro, assonnata e apatica, copia fedele dell’espressione spenta del volto che la sovrasta. Anche se è mattina presto, l’insieme denuncia un portamento stanco. Le spalle, sembrano appassite e le mani penzolano lungo i fianchi quasi facessero fatica a restare attaccate. Guardo meglio e…. mio Dio, quell’essere abulico sono io. Nella distaccata obiettività del primo mattino, mi vedo grigio cinquantenne, mesto protagonista del solo traffico cittadino. Abbasso infastidito lo sguardo e la coda dell’occhio, cade sulla pila di magliette colorate che tracimano dai ripiani dell’armadio. Gli scaffali, pur contenendo altri sobri gessati scuri, sono colmi di morbide felpe colorate e giubbotti variopinti, impilati accanto a berretti, cerate, visiere, guanti e altri curiosi capi tecnici.
Sbatto gli occhi stupito e d’un tratto, riprendo coscienza dell’altra faccia dell’esistenza. Io velista, grintoso protagonista di una marea di regate, sempre in giro coi miei complici, saltando da una barca all’altra. Da questa scura ed ovattata stanza, sembra tutto così lontano, quasi impossibile, eppure … è tutto dannatamente vero. Lo sguardo assente, al solo riaffiorare di questi ricordi, si è dileguato. Il volto riflesso dallo specchio, ora, mostra inequivocabili i tratti di un esistenza assai poco conservativa. Le rughe attorno agli occhi, tipiche di chi è stato scolpito dal vento per anni, unitamente all’abbronzatura di fondo, denunciano un trascorso diverso da quello che l’abito grigio lascerebbe supporre. Anche la stanca postura iniziale, ha lasciato posto ad un’immagine nuova, mentre il torace traspare spavaldo da sotto la giacca. Innanzi allo specchio, ora, sembra quasi esserci un altro. Simile nei tratti al mesto borghese di prima, ma nella sostanza, profondamente diverso. Un essere nuovo, irrazionale ed irriverente. In una parola: sembra esserci un altro, o forse, sarebbe più corretto dire …. l’ “altro”.
Lui, lo sportivo, l’atleta, il velista. Quella creatura strana per cui una giornata è bella o brutta, non in funzione dell’irraggiamento solare, ma dell’intensità del vento.
Quello che regata sempre su una barca diversa, che non ne ha mai abbastanza, quell’essere strano che vive solo di vela, vele e virate. Proprio lui, l’inossidabile, quello che non invecchia, che non ingrassa, che non si stanca, quello che la vela non la sogna, la fa. Quello fatto alla rovescia, quello per cui il tempo più è brutto più è bello, quello a cui non fa mai male niente, quello per cui l’anno non è scandito dal susseguirsi dei mesi, ma dal succedersi delle regate. Lui, l’inesauribile, l’imprevedibile, l’infaticabile.
Quel maledetto senza casa che ha l’argento vivo addosso e che mi fa sentire pigro e vecchio pur essendo esattamente mio coetaneo. Sì, ma… quale alchimia trasforma l’abulico borghese, nel figlio del vento che vive solo di regate? Com’è possibile questa metamorfosi? Come può un borghese piccolo, piccolo tramutarsi al semplice riaffiorare di un ricordo, in un carismatico atleta? Forse … la causa prima, l’origine della mutazione, non affonda le radici in nulla di così eclatante come gli effetti lascerebbero supporre. Il tutto, sembra piuttosto riconducibile ad una semplice reazione naturale. Una risposta endogena, quasi inconscia, sottile ma dirompente. Una necessità d’evasione che trae origine proprio dalla claustrofobica quotidianità urbana che lentamente ma inesorabilmente, costringe l’annoiato borghese a rifuggire l’innaturale e costrittivo contesto metropolitano, originando una spinta istintiva che lo porta ad integrarsi con un sistema grandioso quale il mondo naturale e segnatamente il mare. Dunque, il segreto recondito, l’innesco della mutazione, nasce paradossalmente proprio dalla più banale e coercitiva quotidianità urbana. Dalla necessità di lasciarsi alle spalle l’arida ripetitività della vita cittadina, per sentirsi integrato in un disegno di grandioso, la rotazione dei venti, il periodo del moto ondoso, le maree e le correnti. Sensazioni di profonda libertà, di sintonia nella natura, per sentirsi finalmente parte del Creato. Sensazioni divine ma che purtroppo, non hanno alcun valore nella pragmatica e strutturata società metropolitana. Emozioni facilmente tacitate come superflue, apparentemente inutili, ma che sono le sole a soddisfare il profondo enigma che giace latente sul fondo dell’animo di ogni essere umano: perché mai esistiamo. Domanda inquietante, cui solo quella strana sensazione di pienezza, regalo ultimo di una splendida veleggiata, sa tacitare. Sembra impossibile ma l’ “io velista”, trae le sue origini, la sua profonda motivazione, proprio dalla claustrofobica realtà cui l “io borghese” deve necessariamente sottostare ed in questo divenire, i due alternano. L’uno vivendo un’esistenza antitetica all’altro, inseguendosi temporalmente per divenire momentaneo protagonista dell’unica realtà che entrambi devono condividere. Due esseri antitetici, contraddittori ma protagonisti di un unica esistenza. Due mondi indipendenti, lontani anni luce che sembrano non avere nulla in comune se non quell’armadio, in cui entrambi ripongono i vestiti. Una dicotomia lacerante, racchiusa dentro un’unica anta. L’uomo dai due volti, dalle due vite, esattamente come tutti voi che vi ritrovate l’armadio parzialmente invaso da un altro. Colmo di indumenti apparentemente non vostri. Vestiti, protagonisti di un’altra vita ma che stranamente, sono stati ordinatamente riposti proprio all’interno del vostro armadio … e se li indossaste, scoprireste che vi calzano a meraviglia essendo esattamente della vostra taglia, fateci caso.