di Margherita Bordino*
Da molti considerata “scomoda”, fu la prima interprete italiana nella storia degli Academy Awards a vincere il prestigioso Premio come Migliore Attrice Protagonista
È il marzo del 1956 quando a Los Angeles l’attore comico Jerry Lewis, con la sua voce nasale e davanti a un’enorme platea di star del cinema, legge da un cartoncino il nome della vincitrice del Premio Oscar come Migliore Attrice Protagonista: Anna Magnani per “La rosa tatuata” di Daniel Mann. L’attrice però non è in sala, ha preferito restare nella sua Roma, nella sua casa, invece di indossare un abito lungo, un paio di scarpe con i tacchi, sfilare tra flash e lustrini per ricevere il più grande e importante riconoscimento che un artista del cinema possa desiderare.
Una decisione che la dice lunga su chi fosse Anna Magnani e sul carattere della nostra “Nannarella”, la prima interprete italiana nella storia degli Academy Awards a vincere il Premio Oscar come Migliore Attrice Protagonista! Un premio che in quel preciso momento storico ha rappresentato per il Paese una vera Coppa del Mondo, mentre per la Magnani l’ingresso definitivo nell’olimpo del cinema mondiale.
In “Mamma Roma” Pier Paolo Pasolini le offre un personaggio forte, incisivo, quello di una matura prostituta che tenta di stravolgere la sua vita per amore del figlio. Sarà l’ultima grande interpretazione cinematografica di Anna Magnani
Un momento di grande gioia, in cui viene però commesso un altrettanto grande errore: iniziare a pensare alla Magnani come una diva inavvicinabile, mitizzata, temuta. Questa sua nuova immagine, del tutto errata, e una certa rigidità nel non accettare ruoli commerciali, determina un triste e doloroso isolamento dell’attrice dall’industria cinematografica. Come diceva lei stessa: “Chi me lo fa fare di accettare parti sbagliate? La gloria? Ne ho avuta abbastanza, l’ho pagata abbastanza”.
“Chi me lo fa fare di accettare parti sbagliate? La gloria? Ne ho avuta abbastanza, l’ho pagata abbastanza”
Iniziamo da principio… È il 7 marzo 1908 quando Anna Magnani viene al mondo. Sua madre era una sarta, Marina Magnani, mentre del padre non si hanno notizie. Per evitare lo scandalo la madre la affida alle cure della nonna materna e va via, trasferendosi lontano, ad Alessandria d’Egitto. La piccola che diverrà l’amata “Nannarella” soffrirà molto la mancanza dei genitori e una volta cresciuta pur riuscendo a scoprire il nome del padre mai lo incontrerà: tale Pietro Del Duce, di origini calabresi. Seppur con diversi sforzi economici, la nonna le permette di studiare e nel 1926 inizia anche a frequentare la scuola di arte drammatica “Eleonora Duse”, diretta da Silvio D’Amico. Nel corso di otto anni, tra il teatro e le riviste, ha modo di fare una lunga e formativa gavetta fino al 1934, anno in cui debutta sul grande schermo con un piccolo ruolo nel film “La cieca di Sorrento” di Nunzio Malasomma e rivela il suo lato comico, interpretando una cameriera disinibita in “Tempo massimo” di Mario Mattoli accanto a Vittorio De Sica. In quegli anni però il cinema non le rende giustizia a differenza del palcoscenico che continua a darle grandi soddisfazioni. Sono gli anni de “La principessa Tarakanova” (1938) diretto da Fedor Ozep e Mario Soldati e di una serie di avanspettacoli con Totò.
La grande occasione arriva con Roberto Rossellini, con il quale ebbe anche una relazione sentimentale, che le offre di affiancare Aldo Fabrizi in “Roma città aperta”, film manifesto del Neorealismo
Il personaggio di donna del popolo, forte, istintiva, coraggiosa scuote il cinema italiano e nasce così, ufficialmente, la vera attrice che tutti conosciamo. Segue un decennio di successi. La vedremo in “Il bandito” di Alberto Lattuada, “Abbasso la ricchezza” di Gennaro Righelli, “L’onorevole Angelina” di Luigi Zampa, “Assunta” Spina di Mario Mattoli, “L’amore” di Roberto Rossellini, “Molti sogni per le strade” di Mario Camerini, “Bellissima” di Luchino Visconti, “La carrozza d’oro” (Le carrosse d’or) di Jean Renoir, e molti altri ancora. Tra il 1956 e il 1973, anno della sua morte, Magnani prende parte ad altri undici film per il cinema: tra questi c’è “Mamma Roma” di Pier Paolo Pasolini, che le offre finalmente e nuovamente un personaggio forte, incisivo, quello di una matura prostituta che tenta di stravolgere la sua vita per amore del figlio. A quanto si dice, non è stato un set semplicissimo per via del rapporto tra attrice e regista, ma di certo è l’ultima grande interpretazione cinematografica di Anna Magnani. Il cinema di quegli anni non la soddisfa molto e nel 1971 si lascia convincere da Alfredo Giannetti a cimentarsi con la televisione in un ciclo di tre film dal titolo “Tre donne”. Magnani cede così a qualcosa che la terrorizzava inspiegabilmente, la TV, dove era apparsa un’unica volta per ricordare Totò, l’immenso artista che era suo grande amico. “Eh, cara, non sono un’attrice comoda io. Con me non capita che un produttore s’innamori di un soggetto, lo compri, stabilisca di realizzarlo e poi decida: ci metto la Magnani”, era solita dire. E’ stata ed è, perché l’arte cinematografica rende eterni, una grande donna, un’immensa artista, mai scesa a compromessi per trattenere, o coltivare la fama. Un’attrice che ha usato il mestiere “come antidoto al veleno della noia”, scegliendo personaggi in cui poteva credere e in cui il pubblico poteva leggerne realtà e lealtà.
* Classe 1989. Catanzarese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. «Vivo per scrivere e scrivo per vivere, se possibile di cinema o cultura. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in giro per il Belpaese tra festival e rassegne cinematografiche, o pura curiosità» Tra le sue collaborazioni giornalistiche: Rivista 8 e 1⁄2 edita da Istituto Luce Cinecittà; Artwave, ArtTribune.