di Pietro Fiammenghi*
A cento anni dalla sua nascita ripercorriamo le più significative tappe di una delle sue più grandi passioni, curata senza clamori ma con molto amore e ricca di primati: la vela
Che l’avvocato stesse poco bene s’era intuito quando, il 23 agosto 2001, lo Steal vinse lo storico periplo dell’isola di Wight, la regata lunga dell’America’s Cup Jublee, senza che il suo armatore fosse a bordo. Ero imbarcato su uno scafo d’epoca, un Laurent Giles del 1938, quando fummo superati dagli ultimi par- titi: la flotta dei maxi. Lo Stealth era già in testa, le sue vele nere e la sua notevole velocità gli permisero di trionfare anche in quell’indimenticabile regata commemorativa.
Il flemmatico navigatore anglosassone che ci guidava tra le feroci correnti del Solent aveva una profonda ammirazione per l’armatore di quello yacht nero. “Ha esattamente dieci anni più di me”, disse. E aggiunse: “Ho sempre apprezzato lo spirito semplice e le barche di Mr Fiat, ma stranamente non ha partecipato a questo evento unico, avrà i suoi buoni motivi per non essere qui”.
Mi sorprese l’affermazione, fatta da un anglosassone patriottico e orgoglioso, il quale, malgrado fosse imbevuto di british humour, si rammaricava dell’assenza di un armatore italiano. Volli cercare di capire perché quell’uomo era così importante per lui. Lentamente affiorò un inspiegabile attaccamento all’Avvocato, una rispettosa considerazione che attribuiva al potente industriale un ruolo quasi istituzionale; ne parlava come se fosse stato il re d’Italia.
In effetti Gianni Agnelli riempì il “vuoto dinastico” che si era creato sia per l’esilio dei Savoia e sia a causa del frenetico susseguirsi dei governi della Prima Repubblica.
In questo vuoto l’Avvocato cadde dentro quasi casualmente nei primi anni sessanta e, quando se ne rese conto, si guardò attorno accorgendosi di trovarsi sorprendentemente a suo agio in quell’anomala situazione. Praticamente indossò una corona che nessuno era in grado di portare. Tutto, poi, fu una conseguenza. Naturalmente anche le sue barche, gli yacht dell’Avvocato, assunsero un’importanza diversa. Divennero dei cult, degli “instant classic” unicamente perché appartenute a lui. Agnelli riuscì nell’impresa quasi impossibile per ogni uomo di grandi mezzi e grande potere: riuscire (anche) a divertirsi. Trovare il tempo per le passioni disinteressate. La vela, era una di queste.
E qualunque barca avesse scelto avrebbe fatto moda; ma il suo proverbiale buon gusto lo agevolò ulteriormente.
Non a caso diede l’avvio all’interesse per le barche d’epoca in Italia, fu lui ad esaltare il valore storico degli scafi “metrici”. Fu sempre l’Avvocato a pretendere uno sloop “flush deck” di oltre trentacinque metri e naturalmente sempre sul suo Stealth si vide comparire l’originale abbinamento teak-titanio. Sua fu anche la volontà di far partecipare l’Italia alla Coppa America, prima con un tentativo mai andato in porto e fermatosi ai contatti preliminari con gli esponenti dello yachting che contava. Poi nel 1983 con l’indimenticabile consorzio di Azzurra che avvicinò tanti italiani allo sport della vela.
Le barche dell’Avvocato hanno sempre e comunque fatto notizia e anche quando non esteticamente strepitose, come nel caso del Capricia, hanno saputo comunque attirare l’attenzione. Il Capricia, uno Sparkman & Stephens di 22 metri del 1963, acquistato da Agnelli nel 1965, è stato da lui donato alla Marina Militare italiana nel 1993. Questo yacht di legno continua oggi ad essere utilizzato come nave scuola, prendendo anche parte alle regate nel circuito riservato alle barche classiche.
Ma la barca d’epoca più prestigiosa mai posseduta dalla famiglia Agnelli è stato indubbiamente il Tomahawk. Questo leggendario Coppa America, lungo 21 metri e costruito nel 1937 su disegno di Charles Nicholson, è unanimemente considerato il 12 metri Stazza Internazionale che ha saputo riproporre prepotentemente questi magnifici scafi nell’ambito delle regate metriche storiche. Oggi questa classe è la più ambita, ricercata e costosa tra gli yacht d’annata.
La famiglia Agnelli aveva però, anche se soltanto per un breve periodo, posseduto un altro 12 metri stazza internazionale, l’Emilia, un progetto di Costaguta del 1930 che è da considerare il primo 12 metri costruito in Italia. Un altro primato.
Lo scafo che più impersonifica l’immagine di Gianni Agnelli resta comunque l’Agneta. Questo splendido yawl Marconi di 25 metri, varato nel 1951, ha accompagnato l’Avvocato nelle crociere più belle, riempiendo di pettegolezzi i rotocalchi negli anni del boom economico.
Le sue caratteristiche salienti restano indiscutibilmente lo slanciato scafo interamente “coppalato” con il legno in bella vista e soprattutto le sue grandi vele scure. Uno spettacolo imponente e proporzionato che per anni ha caratterizzato Capri, la Costa Azzurra e Porto Rotondo. Extrabeat, lo sloop di 35 metri varato ad Antibes nei primi anni novanta, appartiene invece alle ultime realizzazioni tecnologiche volute dall’Avvocato. Sicuramente veloci e performanti, questi scafi segnano nuovamente il gusto di un’intera generazione di velieri.
Extrabeat con le sue dimensioni importanti e la sua coperta “pulitissima” con i tambucci a filo del teak, diventa immediatamente il caposcuola di un’innovativa serie di maxi yacht da crociera, capaci di prestazioni notevoli e dotati di una pulizia di linee esemplare. L’estetica soprattutto. Le linee d’acqua sono di German Frers, nitide e classiche come solo l’argentino sa disegnarle.
Quando verrà venduta, alla fine degli anni novanta, Agnelli imporrà una curiosa clausola che impedirà al nuovo proprietario di navigare con il maxi-sloop nel Mediterraneo per almeno cinque anni. Dulcis in fundo, lo Stealth. Questo 27 metri costruito da Green Marine in compositi avanzati porterà ad Agnelli la soddisfazione di vincere il Fastnet del 2001 e dominare la regata commemorativa del cento cinquantenario dell’America’s Cup. Lo Stealth è un fantastico giocattolo tecnologico, nero come il carbonio e hi-tech come un aereo da caccia. L’Avvocato, però, raramente vi salirà a bordo. La salute precaria e le tragedie familiari lo avevano segnato. Ma la passione per la vela aveva già contagiato i nipoti John e Lapo Elkann.