L’Editoriale
di Fabio Lagonia
Per dare un’idea dell’importanza e del fascino presente nel sistema nervoso centrale, Rita Levi Montalcini lo paragonò a quello della foresta amazzonica. Non c’è dubbio, infatti, che il polmone per eccellenza del pianeta non è un luogo come tanti altri. Misterioso, inaccessibile, testimone di tradizioni ancestrali. Le radici di questa immensa marea verde si trovano in Perù, dove una vegetazione rigogliosa riempie le vallate che digradano a est delle Ande. Boschi infiniti e fiumi sinuosi. Una biodiversità ricchissima, mantenuta tale dalle popolazioni del luogo che svolgono l’insostituibile ruolo chiave di “guardiani delle foreste”. Gli scatti fotografici di Roger Lo Guarro sono un formidabile reportage sociale su ciò che accade nella regione della Madre de Dios dove gli indigeni, da soli, sanno custodire un habitat che, se per loro rappresenta l’unica fonte di sostentamento, per il resto del mondo è considerato un patrimonio universale da salvaguardare. Perciò escludere quei popoli dalla custodia delle foreste e dall’economia che ne deriva, precludendone la sostenibilità, è un grave delitto. Un rapporto del 2018 realizzato dalla Rights and Resources Initiative ed intitolato Cornered by protected areas (Messi all’angolo dalle aree protette) denuncia i soprusi perpetrati sulle popolazioni indigene, nonostante queste siano più efficienti nella gestione dell’ecosistema a dispetto dell’inadeguatezza mostrata da enti pubblici e privati. Un’altra prova di umana illogicità. Più probabilmente, un’altra prova di egoismo del più forte a danno del più debole. Resta l’auspicio di veder trionfare il valore, come accade nei miti o nelle favole in cui lo scenario protagonista molto spesso è la foresta: se questa esprime l’allegoria di un cammino da fare tra mille rischi, pericoli, bestie e smarrimenti, è però anche il luogo di eroi che si confrontano con tali avversità.