di Bianca Sestini
Una scritta in stampatello adorna la facciata esterna della chiesetta di Cospaia. “Perpetua et firma libertas”: il motto, in latino, si fa spazio nella cornice di mattoni intorno all’ingresso dell’edificio, invocando libertà duratura e salda per il paese.
Nessuna guerra sanguinosa ha segnato le origini dell’antica Repubblica di Cospaia. L’indipendenza piovve quasi dal cielo, per un mix imprevedibile di equivoco e tempismo. Eugenio IV, da poco eletto papa, si rivolse a Cosimo Il Vecchio de’ Medici per un prestito di 25.000 fiorini d’oro. Borgo Sansepolcro e i possedimenti che lo Stato della Chiesa vantava nei dintorni furono il pegno che il pontefice offrì al signore toscano a garanzia della restituzione della somma. Dieci anni più tardi il denaro non tornò nelle casse dei de’ Medici e la cittadina biturgense passò sotto il dominio della Repubblica di Firenze.
Per tracciare i nuovi confini, Cosimo Il Vecchio e Eugenio IV nominarono due commissioni separate di cartografi a cui il destino giocò uno scherzo bizzarro. Chi poteva immaginare che i torrenti paralleli che bagnavano le pendici del Monte Gurzole in quella zona si chiamassero entrambi Rio? I delegati non lavorarono insieme alle mappe. Mentre i fiorentini fissarono il limite della signoria lungo il corso d’acqua più a nord, gli incaricati del Papa fecero coincidere la frontiera con quello più a sud. A metà strada fra Sansepolcro e San Giustino, sul poggio tra i Rio, il villaggio di Cospaia divenne improvvisamente terra senza padroni perché nessuna delle due carte geografiche includeva il paese. La comunità – meno di 100 famiglie, 350 anime suppergiù – si accese della stessa intuizione: una libertà speciale era a portata di mano.
Dopo la proclamazione dei cospaiesi, il nuovo Stato si dette una bandiera e optò per l’anarchia. Niente esercito né carceri e tribunali. Per risolvere le controversie il Consiglio degli Anziani e dei capifamiglia si riuniva a casa Valenti o, dal Settecento, nella chiesa dell’Annunziata, ma non esisteva un vero e proprio organo di governo. Contadini, operai e nobili (i pochi del borgo) convivevano uguali e sovrani in un frammento di mondo prima dimenticato e poi tollerato da Firenze e Roma.
L’economia continuò ad utilizzare soprattutto il baratto, però l’assenza di tasse e dazi rendeva la Repubblica particolarmente appetibile per fare affari o avviare un’attività. Quando nella seconda metà del Cinquecento i primi semi di tabacco inviati a Sansepolcro dalla Francia arrivarono in cima alla collina, i cospaiesi si buttarono a capofitto in questa nuova coltivazione. Dapprima considerata dalla Chiesa una pianta medicinale, l’“erba tornabuona” fu successivamente vietata dal papato, che puniva con la scomunica chi fosse sorpreso a fumarla o fiutarla. Nelle terre di Cospaia la coltura e il commercio di tabacco non rallentarono affatto, attirando nella Repubblica benessere e una nutrita immigrazione di contrabbandieri.
Con il passare del tempo delinquenti da tutta Italia si insediarono nel paese senza galere né polizia. I rapporti con i vicini erano minati da tensioni crescenti. Quando lo Stato Pontificio rovesciò il tavolo, Cospaia aveva ormai cambiato volto. Il villaggio e il contado tornarono sotto l’autorità di Roma nel 1826, in cambio di una moneta d’argento per ciascuna famiglia e del permesso di coltivare al massimo mezzo milione di piante di tabacco.
Oggi il borgo“redento” domina la stessa altura nel Comune di San Giustino, in provincia di Perugia. La gente del posto per parlare di una grande confusione dice ancora che qualcosa “è peggio della Repubblica di Cospaia”. La storia, intanto, ha fatto letteralmente il giro del mondo, finendo sotto la lente di ingrandimento di ricercatori e appassionati per le sue peculiarità sotto il profilo istituzionale, sociale, antropologico. Grazie all’interesse che riesce ancora a suscitare negli ambienti più disparati, il passato di Cospaia ha concrete possibilità di salvarsi dall’oblio. Quasi che quella frase incisa sopra la porta della chiesa, oltre che affascinare, porti anche fortuna.