di Giusy Armone
Ragionando con De Chirico, oggi, in tempi di pandemia, costretti a guardare al di là di ciò che materialmente siamo
o siamo stati capaci di essere
Sulle piazze d’Italia è calato il “meriggio metafisico”. «[…] Una città, una piazza, un porto, dei portici, dei giardini: feste serali; tristezze. Niente». Ogni cosa è privata del senso comune che la consuetudine le attribuisce. L’Italia vittima della pandemia che ha colpito la Cina, l’Europa e poi via via gli altri continenti, è diventata un grande quadro metafisico. È diventata quello che cento anni fa Giorgio De Chirico vedeva tra la gente frenetica, le piazze caotiche. Agli albori del “venti-venti”, ai tempi del coronavirus, della vita ordinaria non c’è quasi più nulla, le strade sono pressoché deserte, i parchi interdetti, le strade private della loro utilità. Le piazze sono vuote ed in questa dimensione, straordinariamente nuova per i più, l’uomo è estraneo all’architettura che fa da scheletro alle città. Oggi il senso di spaesamento è inesplicabile, ieri per De Chirico era enigmatico. Torna dirompente la ricerca metafisica per la comprensione del mondo, di una realtà che non sta al di sopra dell’uomo ma che lo circonda con i suoi nodi da sciogliere, di una metafisica che cerca il senso imminente ed immanente delle cose e dei fenomeni proprio a partire dall’osservazione dei fenomeni stessi.
La pandemia ha costretto tutti a serrarsi nelle proprie abitazioni e la vita fuori ha cessato di scorrere se non per coloro che in questo caos mondiale sono stati chiamati ad intervenire e che non si sono voluti e potuti sottrarre. È il tempo di quella malinconia di scuola nietzschiana che diventa porta preferenziale d’accesso per uno stato emotivo subliminale di estatica contemplazione della propria interiorità. Ogni cosa appare più vera quanto meno appare verosimile. Ed è forse questo che fa ancora più paura del virus: una rappresentazione della realtà figlia del completo isolamento dal mondo esterno, e ancora l’essere costretti a guardare al di là di ciò che materialmente siamo o siamo stati capaci di essere.
La nascita di alcune delle più celebri opere metafisiche è legata a piazza Santa Croce a Firenze e ad una forma di convalescenza che ha calato De Chirico in uno stato di “morbida sensibilità”. Lui, nato in Grecia nel 1888, trascorse un periodo in Italia e fu proprio qui che gettò le basi per la corrente metafisica, un filone artistico che incarnò l’irrequietezza culturale del Novecento e che fece, per alcuni versi, da trampolino per l’evocazione del sogno e dell’inconscio tipici del Surrealismo. Come nacque l’ispirazione per la serie delle “Piazze d’Italia” De Chirico stesso lo spiega nel 1985 ne “Il meccanismo del pensiero”:
Par un clair après-midi d’automne j’étais assis
sur un banc de la place Santa Croce à Florence.
Certes, ce n’était pas la première fois que je voyais cette place.
J’avais un peu surmonté une maladie intestinale longue et douloureuse et je me trouvais dans un état de sensibilité presque morbide. […]
Le soleil d’automne, tiède et sans amour, éclairait la statue
et la façade du temple. J’eus alors l’impression étrange que
je voyais toutes ces choses pour la première fois.
Et la composition de mon tableau me vint à l’esprit; et à chaque fois que je revois cette peinture je revis ce moment:
le moment pourtant est une énigme pour moi, car il est inexplicanble.
J’aime appeler ainsi l’oeuvre qui en résulte une énigme.