100 anni fa la rapina che non avevano commesso e che li portò sulla sedia elettrica
di Aldo Ventrici
Gli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono arrestati il 5 maggio 1920, attorno alle dieci di sera, su un pullman che da Bridgewater li stava portando a Brockton, due cittadine del Massachusetts distanti tra loro una decina di chilometri. I due erano armati, Sacco aveva una Colt calibro 32 e Vanzetti un revolver calibro 38. Si erano lasciati da poco con due loro compagni anarchici, Mario Buda e Riccardo Orciani, con i quali stavano organizzando come disfarsi di materiale sovversivo e, molto probabilmente, per nascondere della dinamite. Erano molto preoccupati perché le operazioni di contrasto all’anarchismo e a tutte le forme di dissenso sociale, volute dal potente Procuratore Generale Alexander Mitchell Palmer – quel periodo sarà tristemente ricordato nella storia americana come Red Scare, paura dei rossi – negli ultimi due anni erano diventate molto frequenti e spregiudicate e agli arresti indiscriminati facevano spesso seguito i provvedimenti di espulsione e di rimpatrio.
Erano anarchici, per di più italiani, e attorno al loro gruppo si era concentrata l’attenzione delle polizie di vari Stati d’America e del Bureau of Investigation. Due giorni prima – ed era stato anche questo uno dei motivi del loro incontro con Buda e Orciani – il loro compagno Andrea Salsedo si era sfracellato al suolo volando giù dal quattordicesimo piano del Park Row Building, quartier generale a New York del Bureau of Investigation. Il povero Andrea, editore trentanovenne di Pantelleria con moglie e due figli, da qualche mese era trattenuto illegalmente in quegli Uffici assieme all’anarchico catanzarese Roberto Elia – di dieci anni più anziano, tipografo, pubblicista e amministratore del settimanale Cronaca Sovversiva di Luigi Galleani – ed era stato sottoposto a duri interrogatori che lo avevano fiaccato nel fisico e nello spirito e la stampa sosteneva che, prima di “cadere” dal quattordicesimo piano, Salsedo aveva fatto i nomi di suoi compagni anarchici responsabili di attentati dinamitardi.
Per questi motivi, quella sera, sul pullman, Sacco e Vanzetti credettero di essere stati fermati per la loro militanza anarchica e perché erano italiani. Convinti di ciò, con l’intento di proteggere sé stessi e i propri compagni, alle domande dei poliziotti che miravano ad accertare le loro idee politiche diedero risposte false ed evasive, mentendo sulla loro appartenenza anarchica, sulle armi che portavano, sul perché si trovassero a Bridgewater e negarono di conoscere qualcuno di nome Buda.
Ma davvero erano stati arrestati perché anarchici?
La risposta è no, ed è doppiamente beffarda.
Innanzi tutto lo scambio di persona. Quel 5 maggio, infatti, la sera del loro arresto, il capo della Polizia di Bridgewater Michael Stewart aveva teso una trappola a Mario Buda, ritenendolo uno dei cinque banditi che, il 15 aprile 1920, avevano compiuto, nella vicina cittadina di Braintree, una rapina a mano armata conclusasi con l’uccisione di un portavalori e della sua guardia del corpo e un bottino di circa sedicimila dollari. Deciso ad arrestarlo, arrivò tardi sul luogo dove si erano incontrati i quattro anarchici e chiamò la polizia di Brockton chiedendo di arrestare due persone sul pullman proveniente da Bridgewater. Pensava di incastrare Buda e Orciani e finì invece per arrestare Sacco e Vanzetti, che neppure conosceva.
Le bugie come prove di colpevolezza. La reticenza e le risposte evasive che i due avevano dato al momento dell’arresto per proteggere sé stessi e i propri compagni convinsero, invece, il capo della Polizia Michael Stewart e il procuratore distrettuale Frederick Katzmann, che li interrogò il giorno seguente, che Sacco e Vanzetti fossero colpevoli della cruenta rapina di Braintree del 15 aprile. Katzmann, in particolare, per mandarli a processo sostenne che il loro comportamento costituiva una prova conosciuta in diritto come “consapevolezza di colpa”. Questa “prova” permeerà di sé l’intero dibattimento e Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, con la sola colpa di essere italiani ed anarchici, furono condannati a morte il 9 aprile 1927 e giustiziati il 23 agosto dello stesso anno per quella rapina di cento anni fa… che non avevano commesso.
«Io dichiaro che ogni stigma e ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti» Con questa dichiarazione, proclamata dal governatore del Massachusetts Michael Dukakis il 23 agosto 1977, a 50 anni esatti dall’esecuzione a morte, Sacco e Vanzetti vennero riabilitati e assolti dal crimine per il quale ingiustamente furono accusati.
Quest’opera di Aldo Ventrici pubblicata il 2019 per i tipi de La Rondine Edizioni – Catanzaro, ricostruisce scrupolosamente la sofferta vicenda umana di Roberto Elia, un anarchico italiano partito da Catanzaro fra i tanti milioni di emigrati che agli inizi del Novecento lasciarono la patria per raggiungere gli Stati Uniti. Scorrendo le pagine del libro sembra di trovarsi all’interno di un avvincente romanzo ambientato nelle grandi metropoli americane nelle quali l’anarchico Elia e tanti altri compagni di militanza, fra cui Sacco e Vanzetti, ingaggiano lotte di classe per sconfiggere il dramma di migliaia di uomini desiderosi di affrancarsi dall’oppressione e dalle discriminazione. Ma è di più: è un saggio sul movimento anarchico italiano negli Stati Uniti del primo Novecento, con una notevole mole di informazioni, in parte inedite o poco conosciute, su un fenomeno non abbastanza esplorato dalla storiografia italiana.