di Fabio Lagonia
Si conclude il 2019, l’anno in cui è stato celebrato il duecentesimo anniversario della più famosa lirica leopardiana, L’Infinito, un’opera che esprime a pieno l’estetica del sublime, ovvero quella misteriosa dimensione che fornisce consapevolezza emotiva a tutto ciò che è indefinito, ineffabile, e che pure si avverte nonostante quella serena vaghezza di inafferrabilità. Tutto questo è fonte di contemplazione della natura, con la sua potenza irresistibile, che ci porta ad andare oltre, ad immaginare altro. È l’approccio giusto che serve e si rivela dentro di noi quando sorge il desiderio di conoscere e approfondire qualcosa. È il gusto della scoperta, che nasce sempre da qualche passione e dalla capacità di stupirsi e cogliere le meraviglie. Come accade a Pompei, città il cui tempo si è fermato e che, tuttavia, appare incredibilmente viva, in movimento, quasi una metafora della dinamica che coinvolge chi fa della propria vita una ricerca incessante, un arricchimento della conoscenza. L’antico sito alle pendici del Vesuvio è infatti una rivelazione continua, e non finisce di sorprenderci. I recenti scavi della Regio V lo confermano e hanno portato alla luce ulteriori elementi della quotidianità di quella civiltà, restituendo al grande pubblico uno scrigno prezioso capace di emozionare e suscitare entusiasmo. E così una città che si pensava già conosciuta riesce ad offrirci ancora nuovi spunti di conoscenza e di approfondimento. Uno scavo nello scavo. Ciò che a volte facciamo, o dovremmo fare, dentro di noi. Perciò si può convenire col poeta Arturo Graf quando scriveva che «i più grandi spiriti fanno in se stessi le più grandi scoperte».